May ancora battuta. Su Londra l’incubo di una Brexit al buio
Non è bastata l’offerta di May di dimettersi in cambio della ratifica parlamentare. Non è bastato il sostegno, riluttante ma alla fine concesso, dei pesi massimi del partito: l’ex ministro per la Brexit Dominic Raab; il capo dei ribelli euroscettici Jacob Rees-Mogg; e soprattutto il volto della campagna referendaria pro-Leave Boris Johnson, che appena giorni fa aveva usato toni biblici per argomentare la sua ostilità all’accordo, ma che ha cambiato idea, forse con un occhio a Downing Street, dicendo: «Corriamo il rischio di dover accettare una versione della Brexit ancora peggiore, o di perdere del tutto la Brexit».
Non è bastato, infine, l’escamotage di sottoporre al voto solo parte del pacchetto, il cosiddetto accordo di uscita, senza la dichiarazione politica sulle relazioni future tra Londra e i Ventisette. Hanno votato contro il Dup, piccolo partito unionista nordirlandese che dà sostegno esterno al governo; 34 conservatori, tra cui gli euroscettici più radicali; e quasi tutto il Labour.
La bocciatura ha provocato la caduta della sterlina, che ha poi recuperato, e la reazione esasperata degli industriali: «La nostra reputazione nel mondo era già appannata, alla fine di questa settimana è a pezzi», ha detto l’associazione manifatturiera Make UK. «Questa decisione avrà ripercussioni profonde», ha detto May, che ha speso molto capitale politico e si trova senza nulla in mano. «Temo che stiamo per arrivare al limite di questo processo in questa Camera». Una frase che molti hanno letto come un possibile accenno alle elezioni anticipate, auspicate dal leader laburista Corbyn. Altri vogliono le dimissioni della premier, qualcuno preme per un’uscita senza accordo, il «no deal». Ora la strada è ancora più tortuosa. Senza ratifica, decade la possibilità di rinviare la Brexit al 22 maggio. Londra ha fino al 12 aprile: può uscire senza accordo; o trovare una nuova strategia con un’ulteriore proroga, che comporterebbe la partecipazione alle europee di maggio.
Lunedì i Comuni terranno voti consultivi su altri modelli di uscita (quasi tutti prevedono legami stretti con Bruxelles). Se nessuno raccoglierà la maggioranza, com’è accaduto nel primo round di votazioni, la premier potrebbe addirittura riprovarci con un altro voto sul suo accordo. A dare una boccata di ossigeno è arrivato il commento di Washington: «Gli Stati Uniti sono pronti e «impazienti» per stipulare un accordo commerciale con Londra» ha detto il consigliere di Trump John Bolton.
Il 29 marzo doveva essere il «Brexit Day», data iconica scolpita nella memoria collettiva del Paese, ripetuta da May più di cento volte in discorsi e interventi pubblici; è stato il giorno numero 1.009 dello psicodramma collettivo in cui versa il Paese dal referendum. E la conta continua.
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