Gran Bretagna prima vittima del populismo
Che ne sa il popolo sovrano delle complicazioni, degli effetti a cascata, dei rischi che comporta una decisione su temi così complicati e delicati come può essere il posizionamento economico e politico futuro del proprio Paese? Ne sa poco o nulla, e non perché sia bue, ma perché nella vita fa altro (spesso molto bene), non ha competenze, non si è informato ed è suggestionato dalla propaganda e dall’emotività. Non per nulla le democrazie non sono popolari ma parlamentari, cioè il popolo delega, attraverso le elezioni, gente fidata e teoricamente esperta a rappresentarlo e a decidere, studiando a fondo i problemi e le possibili soluzioni, in suo nome. Nessuna democrazia ha mai fatto un sondaggio su scelte drammatiche come, per esempio, entrare in un conflitto. Winston Churchill non chiese il parere agli inglesi quando si rifiutò di scendere a patti con Hitler, costringendo i cittadini a grandi sofferenze. Il vicolo cieco in cui si è infilata la Gran Bretagna è figlio della rinuncia della classe dirigente a essere tale. Qualsiasi decisione avesse preso il Parlamento di Londra sulla Brexit, il popolo avrebbe potuto ribaltarla o approvarla, confermandogli o togliendogli la fiducia alle prime elezioni, e tutto sarebbe stato chiaro. L’inverso è impossibile, cioè nessun Parlamento può fare decadere il popolo o cancellare come se niente fosse una sua sentenza (in Italia sull’esito dei referendum è successo anche questo, ma si sa, qui vale tutto).
Il caos inglese dovrebbe farci riflettere sull’efficacia del populismo nella sua forma più radicale, come in piccolo dimostra la disastrosa esperienza dei Cinque Stelle in Italia.
In ogni campo, anche quello della politica, vale la vecchia regola: vi fareste curare da un medico scelto dal popolo o da uno selezionato dalle migliori università?
IL GIORNALE
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