Le manovre di Conte e Tria: c’è aria di redde rationem
Se Conte ha imboccato questa strada già da qualche mese, Tria sembra aver deciso per un’accelerazione solo nelle ultime settimane. Così, dopo aver accettato in silenzio per mesi le imposizioni di Luigi Di Maio e Matteo Salvini negando in ogni dove che l’Italia fosse a rischio recessione, si è improvvisamente scoperto ministro dell’Economia e due giorni fa ha ammesso che sì, nel 2019 la crescita in Italia si avvia «verso lo zero». Un bel cambio di marcia per chi solo a novembre ha messo la faccia su una manovra che a Bruxelles hanno sonoramente e ripetutamente bocciato. Eppure, dopo aver strenuamente difeso una legge di bilancio che secondo l’Ue rende l’Italia «un pericolo per tutta l’area euro», Tria prova ora a muoversi con più libertà per scrollarsi di dosso quell’immagine di «ostaggio» di Di Maio e Salvini così ben raccontata dalla geniale imitazione di Maurizio Crozza. E forse vanno proprio in questa direzione le ultime mosse a via XX Settembre, a partire dalla vicenda della sua fedelissima consigliera Claudia Bugno indicata nel board del colosso italofrancese StMicroelectronics. Una decisione, raccontano al Mef, che Tria avrebbe preso senza neanche consultare il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera. Allo stesso modo, l’idea di rimandare il Def a dopo il 10 aprile lascia pensare che la tentazione è quella di non accollarsi un altro passaggio che potrebbe essere piuttosto delicato. Non a caso al ministero dell’Economia c’è chi vorrebbe un Documento di economia e finanza solo tendenziale, così da evitare di indicare numeri che potrebbero essere proibitivi. D’altra parte, non è un mistero che ci sia il rischio concreto di dover far cassa per 40-50 miliardi di euro. Il M5s ha ovviamente mangiato la foglia e ha iniziato a cannoneggiare il titolare dell’Economia, reo – tra le altre cose – di non firmare il decreto per rimborsare i risparmiatori truffati dalle banche in attesa del placet di Bruxelles.
Ma più autonomo, seppure giocando di sponda con i Cinque stelle, è anche Conte. Fino a qualche tempo fa non si preoccupava del fatto che la percezione pubblica fosse che il vero capo del governo era Salvini, mentre negli ultimi giorni ha iniziato ad alzare la voce, persino a ribattere polemico al leader della Lega. Se salta il banco, d’altra parte, anche il premier ha bisogno di cambiarsi d’abito e presentarsi con un passo diverso. Perché è vero che né Salvini e né Di Maio vogliono «caricarsi» la responsabilità politica di una crisi di governo. Ma è altrettanto vero che quando si arriva al punto di non ritorno le cose seguono la loro strada quasi per inerzia, a prescindere dalla reale volontà dei protagonisti.
IL GIORNALE
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