Il nuovo Nazareno con Maurizio Landini

La novità è questa, dopo gli anni degli insulti ai sindacati, bollati come la “casta che non difende i lavoratori” o come portatori di una visione arcaica che cozza con la modernità al pari di “quelli che vogliono mettere i gettoni negli i-phone”. La novità è il recupero del dialogo con i corpi intermedi, ignorati e vissuti come ostacolo negli anni della disintermediazione e del populismo di sinistra. E, parliamoci chiaro, tra tutti i corpi intermedi, la rottura di un tabù è il dialogo con la Cgil di Maurizio Landini, il nemico pubblico di Marchionne e di quell’idea di società che il Pd aveva fatto propria. Indimenticabile la previsione che l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, non proprio una Cassandra, riservò al suo avversario in un non raro momento di onnipotenza: “Non credo che Landini abbandoni il sindacato, è il sindacato che ha abbandonato Landini. Il progetto Marchionne sta partendo e questa sconfitta lo obbliga a cambiare pagina”.

Quattro anni dopo, pagina l’ha cambiata Renzi e tra il neo-leader della Cgil e il neo-segretario del Pd è stato ripristinato un confronto, quantomeno basato un reciproco e rispettoso riconoscimento del proprio ruolo e della propria autonomia. È un primo passo, anche molto tradizionale, perché il “cambio di paradigma”, al netto del metodo, si misurerà proprio sulla capacità del Pd di tradurre le buone intenzioni in agenda concreta, proprio rispetto all’approccio di questi anni su diseguaglianze, precarietà, povertà, salario minimo, tema sul quale a inizio della legislatura è stata presentata la proposta più antisindacale di tutte, che nega la funzione della contrattazione e il ruolo di sindacati. Oppure sull’atteggiamento parlamentare che terrà il Pd in materia di legge sugli appalti.

È vero, il Pd non è al governo ma, come si diceva una volta, un’opposizione che non vuole fare propaganda, ma essere un’alternativa, non può lasciare nel campo dell’ambiguità il suo atteggiamento, tanto per dirne una, sul Jobs act fondato su una visione del lavoratore come strumento di profitto e non come destinatario di diritti. Dentro questo confronto con sindacati c’è la più classica delle doppie sfida. La volontà, la capacità, la forza del nuovo segretario di marcare una discontinuità rispetto a questi anni, che hanno avuto come protagonisti certo Renzi, ma anche buona parte del gruppo dirigente del Pd che lo sostiene, che su quell’impianto mai ha elaborato una visione critica. E la volontà, capacità e coraggio di una ricerca comune, del Pd e del sindacato di Landini, perché il 4 marzo e questi anni sono stati la sconfitta di un intero mondo e anche le organizzazioni sindacali stanno dentro la stessa crisi, intesa come sfarinamento di un blocco sociale, allentamento dei legami di solidarietà sociale, perdita di valenza politica del lavoro, precarizzazione delle appartenenze legate a “concezioni del mondo”, sfarinamento di una logica passionale. La forza attrattiva del “reddito di cittadinanza” e l’appeal dei Cinque Stelle tra gli iscritti della Cgil alle scorse elezioni, hanno rivelato proprio questo isolamento del sindacato tra milioni di precari che non si sentono rappresentati all’interno di un crescente dualismo tra inclusi e esclusi. La ritrovata unità tra le sigle e il nuovo dialogo con sinistra può essere l’occasione di una ricerca comune e creativa, in grado di appassionare quel mondo, soprattutto giovanile, che ha voltato le spalle ad entrambi o l’arroccamento di un mondo che, sia pur unito, prova a resistere. La foto di oggi è comunque di buon auspicio.

L’HUFFPOST

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