Libia, è fuga internazionale: via i soldati americani e gli imprenditori italiani. Sarraj accusa Macron
Libia, alla faccia della coesione internazionale, dell’Europa sulla stessa lunghezza d’onda, delle rassicurazioni del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi su “Italia e Francia condividono le stesse preoccupazioni e sostengono l’azione dell’inviato Onu”. A fare chiarezza ci ha pensato uno dei due contendenti nella guerra civile in atto: Fayez al-Sarraj. Il primo ministro del Governo di Accordo Internazionale, l’unico riconosciuto, sulla carta ma evidentemente non sul campo, dalla comunità internazionale. Ha presentato all’ambasciatrice francese in Libia, Béatrice du Hellen, una “forte protesta”, accusando Parigi di sostenere la brigata del generale Haftar. A riferirlo è al Jaazera, che cita una fonte ufficiale del governo libico. La stessa fonte ha sottolineato che Sarraj ha chiesto formalmente all’ambasciatrice di riferire la sua protesta al suo governo e al presidente francese, Emmanuel Macron.
Nei giorni scorsi era emersa la notizia che a dare luce verde al generale della Cirenaica per la sua marcia verso la capitale era stata Parigi, nel corso di una riunione sulla sicurezza avvenuta a Bengasi. “Abbiamo lavorato intensamente con la missione delle Nazioni Unite per sostenere la conferenza nazionale che si terrà a Ghadames”, ha ricordato Sarraj, chiedendo ai Paesi che sostengono Haftar di smetterla di sostenere il generale. Intanto a Roma, è allarme rosso per l'”oro nero”. “Le nostre imprese, quelle del settore petrolifero e dell’indotto che stanno operando nel territorio libico, tremano. La situazione è precipitata”. Altro che evacuazione “controllata”.
In Libia per l’Italia, quanto all’esito della guerra del petrolio, è allarme rosso. A lanciarlo, in una intervista a LaPresse, è Michele Marsiglia, presidente della FederPetroli Italia, che rappresenta le aziende petrolifere nel settore che va dalle risorse minerarie, dai pozzi alle piattaforme, alla distribuzione di carburante al “non oil”. L’offensiva su Tripoli, scatenata dalle forze che fanno riferimento al generale Khalifa Haftar contro ciò che resta del fronte fedele al Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Fayez al-Sarraj, ha già provocato ricadute negative per l’Italia in un campo cruciale, quale è quello petrolifero. “Molte aziende si sono già ritirate con perdite economiche molto pesanti. In Libia i nostri investimenti non sono più tutelati”, avverte Marsiglia. E racconta che “già da un anno le nostre aziende non riescono a fare incontri d’affari a Tripoli perché non è sicuro…”. “La situazione a Tripoli – rimarca il presidente di FederPetroli Italia – ci preoccupa moltissimo, ma ci sono giunte anche notizie che l’esercito di Haftar si sta spostando a Sirte. Le milizie però sono anche nel centro della Libia. Certo i campi si possono abbandonare, ma il pericolo c’è. E anche per assicurare i nostri lavoratori che operano in quelle zone con le compagnie assicurative ci sono molti problemi”.
Quanto all’evacuazione del personale, non è una misura adottata solo dall’Eni. “Lo hanno fatto anche le imprese italiane che fanno riferimento a FederPetroli – dice Marsiglia – realtà medie e piccole, aziende dell’indotto che già da venerdì hanno richiamato il personale. I segnali di un’offensiva militare del resto le avevamo da tempo…”. Ma quei segnali qualcuno, a Roma, li ha sottovalutati. “Haftar – ricorda Roberto Bongiorni sul Sole24Ore – è riuscito a fare quello che i suoi rivali, ma probabilmente anche i suoi sostenitori internazionali, si auguravano non riuscisse mai a fare, o almeno non del tutto; controllare l’industria petrolifera di quasi tutta la Libia. L’ultima offensiva lanciata dalla sua potente milizia, l’Esercito libico nazionale (Lna), è durata solo sei settimane. In questo arco di temo l’Lna ha preso il controllo non solo delle cittadine strategiche del Fezzan, la grande regione desertica centro meridionale, ma anche dei pozzi petroliferi. Il primo giacimento a cadere nelle mani dei suoi militari è stato quello di Sharara, il più grande di tutta la Libia, gestito dalla Noc in collaborazione con la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Equinor. Poi è stata la volta di quello di el-Feel, dove opera la major italiana Eni. I due giacimenti producono rispettivamente 315mila e 80mila barili al giorno, quasi la metà dell’attuale produzione nazionale…. questo volume va aggiunto l’intero bacino della Sirte, e dei suoi due grandi terminali (Ras Lanuf e El-Sider) controllato dal Governo della Cirenaica.
La cui capacità produttiva rappresenta i due terzi di quella nazionale. Nel territorio controllato dal Governo di Tripoli restano assets petroliferi – come i giacimenti offshore di Bouri e di al-Jurf – capaci di produrre poco più 100mila barili al giorno. Oltre al giacimento di gas naturale di Wafa. In un Paese che vive di greggio controllare i giacimenti è fondamentale. Anche perché, rispetto agli anni più difficili (2014-2016), la produzione è tornata a risalire. E così anche le rendite. L’anno scorso sono balzate a 26 miliardi di dollari (nell’anno peggiore furono 5 miliardi). Sul campo, quello di battaglia, la situazione è segnata dall’incertezza, mentre la possibilità di trovare un accordo, quanto meno su una tregua, tra le parti appare, al momento, alquanto improbabile. Al Sarraj ha accusato Haftar di “tradimento” in un discorso televisivo sabato. “Abbiamo steso le nostre mani verso la pace – ha detto al-Sarraj – ma dopo l’aggressione da parte delle forze di Haftar e la sua dichiarazione di guerra contro le nostre città e la nostra capitale non troverà nient’altro che forza e fermezza”.
Sul terreno, Haftar avanza e lancia razzi su Tripoli e al-Sarraj annuncia l’inizio di una controffensiva per “ripulire tutte le città” dalle “forze illegittime”, in riferimento alle truppe del generale, uomo forte dell’est della Libia. L’obiettivo delle milizie di Haftar è quello di arrivare nella capitale e di farlo usando la forza: “missili”, o quanto meno razzi “Grad” sono stati piazzati dalle forze del generale a Garian, un’ottantina di chilometri in linea d’aria a sud del centro di Tripoli e hanno già colpito. “Haftar ha piazzato una batteria di missili a Garian e ieri sera è già morta una donna a Wadi el Rabie”, ha detto all’Ansa una fonte da Tripoli. le forze di Haftar a loro volta hanno condotto un bombardamento aereo a Naqliya camp sulla strada dell’aeroporto, senza causare vittime. Fonti locali hanno parlato anche di raid aerei in mattinata nell’area di Ain Zhara. L’esercito libico governativo avvia l’operazione “Vulcano di rabbia” contro le truppe fedeli. All’uomo forte della Cirenaica. Lo ha annunciato Mohammed Gununu, portavoce delle forze armate, come riferisce il quotidiano Libya Express. “L’esercito libico respinge colpi di stato e militarizzazione dello stato: la Libia sarà sempre uno stato civile e l’esercito lo proteggerà e garantirà la sicurezza della popolazione, rimarca Gununu, aggiungendo che le forze regolari stanno avanzando e prendendo possesso di mezzi impiegati dalle truppe inviate da Haftar. “Questo attacco – sottolinea – è sorprendente e ha distrutto le speranze dei libici per la democrazia mentre tutti si stavano preparando per la prossima conferenza nazionale a Ghadames”.
Determinante la copertura aerea che Sarraj può garantire alle sue truppe, con un piccolo contingente di Mig21s e di Mi8. Nella capitale la tensione aumenta di ora in ora: a Tripoli è iniziata la corsa all’ accaparramento di beni di prima necessità. Lo ha riferito all’Ansa una fonte che si trova in città. “In effetti c’è una corsa agli acquisti delle cose che più servono, ma non è eccessiva»” ha sostenuto la fonte che preferisce restare anonima. “C’è il timore che lo scontro possa durare a lungo. Ma se Haftar comincia a sparare missili, allora sì che potrebbe essere un vero accaparramento. La gente potrebbe anche cominciare a partire” ha aggiunto l’uomo ricordando che Tripoli ha “tre milioni di abitanti”, di cui “tanti non-censiti” e arrivati in città “da sud ed est”: “ci sono anche 115 famiglie provenienti da Bengasi. Anti-haftariani”, ha detto la fonte riferendosi a sfollati creati dai combattimenti quasi casa per casa condotti per tre anni e mezzo fino al 2017 dalle milizie del generale per la conquista della seconda maggiore città libica.
Il fronte della guerra civile ormai è dentro la capitale: almeno 21 persone, tra cui quattro civili, sono morte negli scontri scoppiati alla periferia di Tripoli. L’inviato Onu per la Libia, Ghassan Salamé, ha annunciato tuttavia che si terrà ugualmente la Conferenza nazionale sulla Libia in programma dal 14 al 16 aprile a Ghadames, nel sudovest del Paese, sotto l’egida dell’Onu. “A meno che circostanze considerevoli non ce lo impediscano”, ha precisato. La conferenza di Ghadames è mirata a stilare una roadmap per far uscire il Paese dal caos e dalla crisi politica ed economica in cui è piombato dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi del 2011. “Lascio la Libia con profonda inquietudine e con il cuore pesante, sperando che sia possibile evitare uno scontro sanguinoso a Tripoli e intorno”, ha detto Guterres venerdì concludendo la sua visita in Libia, dopo avere incontrato Sarraj a Tripoli e Haftar a Bengasi. La diplomazia fa finta di esistere, ma la realtà è la fuga internazionale dalla Libia in fiamme.
L’HUFFPOST
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