Gialloverdi nervosi tra tasse e gossip
Segni di nervosismo gialloverde. Al Senato, si sa, il governo Conte ha un problema di numeri. Addirittura per avere la maggioranza deve affidarsi a grillini dissidenti come la Fattori e la Nugnes: i numeri ballano e un seggio può essere decisivo. In questo contesto da un anno va avanti una disputa sul seggio di Anna Carmela Minuto, eletta da Forza Italia, ma in piena metamorfosi leghista. Al suo posto dovrebbe andare Michele Boccardi, un forzista ortodosso. Sul fatto che quest’ultimo abbia ragione non ci sono dubbi. Addirittura il suo avvocato ha fatto arrivare sul tavolo della Giunta delle elezioni una diffida per danno all’erario e patrimoniale di cui potrebbero essere chiamati a rispondere in solido i singoli membri dell’organismo: il Senato, infatti, quando il ricorso sarà accettato, dopo aver pagato la Minuto da più di un anno, sarà costretto a liquidare gli arretrati dal 4 marzo 2018 a Boccardi. Alla faccia del risparmio. Un’iniziativa legale che ha messo le ali ai piedi ai funzionari di Palazzo Madama che, per non incorrere in qualche guaio, hanno già istruito la pratica e fatto sapere che, a loro avviso, il seggio è di Boccardi. Pure il presidente della Giunta Gasparri vuole chiudere la questione. Ma il relatore, il leghista Pillon, che prima delle defezioni grilline che hanno indebolito la maggioranza gialloverde era d’accordo, ora fa il temporeggiatore. Rinvia, tergiversa.
Appunto, il nervosismo gialloverde. Nel Palazzo si respira ovunque. Per il duello elettorale senza esclusione di colpi tra i vicepremier, per i numeri al Senato, per i conti che non tornano. E, ancora di più, perché l’opzione prioritaria che coltivano sia Salvini sia Di Maio è quella di andare avanti con questo governo, magari con un rimpasto. Il leghista vorrebbe avere il tempo di plasmare a sua immagine un nuovo centrodestra e ha paura – o è l’alibi che usa con i suoi – che una crisi potrebbe partire con l’idea delle elezioni anticipate e sfociare, per la tempistica e per l’avvitarsi della crisi economica, in un governo tecnico. «Conte – spiega il leghista romano Giuseppe Basini – andrà avanti ancora un po’, perché o c’è questo esecutivo o tornano i tecnici. Le elezioni? Probabilmente la primavera prossima, ma non è detto». Di Maio, invece, non ha da scegliere: già solo parlare di urne anticipate gli fa venire l’orticaria, per lui sarebbero una sventura visto il crollo nei sondaggi dei 5stelle. «Dopo le Europee – giura il numero due del gruppo grillino della Camera, Francesco Silvestri – ci riavvicineremo a Salvini. Non ci sarà una crisi di governo, al massimo un tagliando».
Solo che, per raggiungere l’obiettivo, il sentiero è stretto. Molto stretto. Soprattutto se si vuole mettere in piedi una legge di Bilancio che in autunno non tagli le gambe al governo gialloverde, tra clausole di salvaguardia di 23 miliardi da disinnescare e promesse di flat tax da rispettare. Un «puzzle» complesso. E piano piano, tra gli strateghi leghisti, si sta facendo largo la convinzione che la tassa piatta non verrà alla luce se bisognerà evitare gli aumenti dell’Iva al 23%. L’unica strada è quella di un compromesso, che nello stile gialloverde spesso si trasforma nel gioco delle tre carte: in questo caso un aumento dell’Iva camuffato per racimolare le risorse per una mezza flat tax. Confida il sottosegretario leghista all’Economia, Massimo Bitonci: «Intanto qualcosa si muove. Ho detto a Tria che l’aumento del 5% di introiti dall’Iva è interessante. In controtendenza. Magari una conseguenza della fatturazione elettronica. Se poi adottiamo degli aumenti selettivi dell’Iva, inserendo alcuni prodotti nelle aliquote superiori, si fa un altro passo importante. Infine, se dalle Europee uscirà un Parlamento di Strasburgo meno rigido, che ci permetta un po’ più di debito, il gioco è fatto, la flat tax si può portare a casa. Inoltre sono convinto che, dopo le elezioni del 26 maggio, i grillini saranno più arrendevoli: non sono nelle condizioni di rompere perché non possono rischiare elezioni da cui uscirebbero dimezzati. E noi, comunque, sull’economia possiamo trovare maggioranze alternative in Parlamento».
Il nervosismo, i timori aguzzano l’ingegno. Anche perché per i gialloverdi, e per Salvini, i problemi si moltiplicano: fuori e dentro. «Sta cambiando l’aria – osserva l’azzurro Roberto Occhiuto -: non capisco quelli che tra noi vogliono diventare dei succedanei della Lega, proprio ora che comincia a perdere colpi». Mentre il presidente di Confindustria Veneto, Matteo Zoppas, e quello di Verona, Michele Bauli, hanno confessato ad un esponente del Pd: «Salvini ci ha deluso. Molto. La speranza è Zaia. È la Lega tradizionale, quella che ci piace».
Già, se non si è attenti, in politica i trend cambiano di stagione in stagione, hanno la durata di una collezione, come nella moda.
IL GIORNALE
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