Da Bersani a Calenda
Diciamo le cose come stanno: la grande trovata ad effetto, il nome che non ti aspetti, il radicale, irriverente rinnovamento, sanamente irrispettoso di correnti e capibastone, non c’è, in queste liste del Pd. C’è però, nelle condizioni date, un “innesco” di un processo unitario o di ricomposizione del centrosinistra – scegliete voi la formula – come si dice oggi, da “Tsipras a Macron”, il che fa molto effetto detto in chiave europea, ma poi tradotto in italiano significa da Bersani a Calenda, da D’Alema a Caterina Avanza, esponente italiana di En Marche, senza tante barricate dei renziani duri o di quelli morbidi (ampiamente rappresentati anche loro nelle liste), nel silenzio di Renzi stesso, il che è un fatto politico. E non di poco conto.
È la rottura di un tabù, perché è chiaro che una campagna comune, in una stessa lista, avvia un processo politico. Sotto le stesse bandiere, D’Alema e Bersani gireranno l’Italia per i loro candidati, a partire dagli uscenti Paolucci e Cecilia Guerra (la capogruppo della scissione), Calenda è capolista nel Nord-Est, Simona Bonafè, volto del renzismo di questi anni, è capolista al Centro, il che impone, se la logica prevale sull’autolesionismo, quantomeno, se non una passione comune, comunque una certa “autodisciplina”, smussando e sopendo i rancori di questi anni e le mai elaborate ragioni del conflitto e della divisione. La dinamica in atto, sempre se la logica prevale sul tafazzismo, “costringe” cioè oggettivamente a compiere quello sforzo che soggettivamente non è stato compiuto, in termini di analisi, elaborazione, chiarimento politico.
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