Il mondo che sembra uno stadio
Sembra un’idea pericolosamente ingenua, che renderebbe impossibile l’attività della diplomazia, della polizia e delle forze armate di ogni Paese democratico. Questioni complesse, da qualsiasi parte le prendiamo. Julian Assange – profeta o spia, eroe o recluso, pazzo o visionario – è un personaggio che sta al centro di tante questioni contemporanee: la sicurezza dei dati, la fedeltà alla causa e la lealtà alla patria, le guerre silenziose tra le grandi potenze. Non si può tifare per lui come fosse una squadra di calcio. E invece sta accadendo proprio questo.
Le discussioni — non solo in Italia — sono disordinate, i punti di vista faziosi, i ragionamenti spesso interessati e inconcludenti. Il mondo è diventato un grande stadio dove non si ragiona con calma: si grida, si tifa e si insulta. La battaglia intorno ad Assange è esplosa sui social, in molte lingue e a tutte le latitudini. Grazie alla rete e agli strumenti che portiamo in tasca, chiunque è in grado di esprimere un’opinione. Non solo su Assange e WikiLeaks, ovviamente: su ogni questione internazionale, per quanto complessa. Studiare è passato di moda; dichiarare, mai.
Quanti ricordano che la saga di Assange è iniziata nel 2010, quando molti vedevano in lui una sorta di Robin Hood dell’informazione? Il biondo — allora — australiano prima ha pubblicato il video dell’attacco di un elicottero USA a Baghdad, in cui morirono due corrispondenti iracheni della Reuters; poi ha diffuso migliaia di documenti riservati sulle guerre in Afghanistan e in Iraq. Nel 2016 ha reso pubblici altri documenti che, secondo un’inchiesta americana, sarebbero stati trafugati dai servizi segreti russi. All’epoca Donald Trump proclamava il suo entusiasmo per WikiLeaks; l’altro ieri ha detto di non saperne niente. Il New York Times, dopo aver collaborato in passato con l’organizzazione, si è chiesto: «Quando Assange si esprime, è Putin che parla?». Secondo voi, quanti degli attuali litiganti planetari ricordano tutto ciò?
In questo clima di tifoserie contrapposte si è inserito anche il governo italiano. Con un particolare: tifa per entrambe le squadre in campo. I Cinque Stelle sono per Assange, e ne chiedono un’improbabile estradizione in Italia; Alessandro Di Battista, da tempo silente, è arrivato a definirlo «un patriota dell’umanità». La Lega di Matteo Salvini, invece, ne diffida, e lo lascia intendere. Non è la prima volta, certo: il governo si è spaccato anche sulla Francia, il Venezuela e la Libia. Ma nel caso di Assange e WikiLeaks c’è qualcosa di più, ed è quello di cui abbiamo parlato finora. C’è una gran confusione che non va via: neppure alzando la voce. Se il mondo è diventato uno stadio, una grande democrazia, qual è l’Italia, dovrebbe intervenire nella discussione con poche parole chiare. Non aggiungendo tifo a tifo.
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