I giovani, migranti invisibili e cittadini di seconda classe

Lasciamo perdere per un attimo gli immigrati. Notiamo solo che la quota di laureati tra loro (13 per cento) è — come scrive Visco — meno della metà della media europea. Cioè i più istruiti vanno altrove. Parliamo invece dei migranti italiani. Nel solo 2018 se ne sono andati all’estero in 120 mila, numero di poco inferiore agli abitanti della Valle d’Aosta. La quota dell’emigrazione giovanile è quintuplicata in dieci anni. Quella dei laureati è raddoppiata. Poi ci sono i migranti interni. Sempre secondo la relazione della Banca d’Italia, nel decennio 2007-2017 il Mezzogiorno ha registrato un deflusso netto verso le altre regioni di 480 mila persone, quasi la metà degli abitanti di Napoli. Il Sud ha perso 193 mila laureati, di cui 165 mila verso il Centro Nord. Nello stesso arco temporale dal Nord se ne sono andati all’estero 300 mila cittadini, di cui 69 mila laureati. Se quella massa di giovani migranti italiani (che non vengono purtroppo prima, per parafrasare uno slogan di successo) si fossero imbarcati tutti parleremmo di un’emergenza nazionale. Invece silenzio. Sono invisibili. La mobilità è una necessità, un valore. L’esodo in massa un peso sulla nostra coscienza nazionale.

Nei giorni scorsi è stata pubblicata la classifica Ocse sull’attrattività dei talenti. L’Italia è quart’ultima. Precede solo Grecia, Messico e Turchia per quanto riguarda i lavoratori altamente specializzati, con master o dottorati. Non si può dire poi che l’occupazione giovanile sia in ripresa. Nel 2018, attingendo sempre alla relazione della Banca d’Italia, il tasso di attività, tra 15 e 24 anni è sceso; tra 25 e 54 anni è rimasto stabile. E’ cresciuto solo per i più anziani. Quota 100 si riteneva che potesse liberare posti per i giovani. Si era arrivati pure a dire (Conte e Di Maio), che per ogni pensionato si sarebbero aperte anche tre possibilità. Salvini ha ammesso (Corriere, 22 maggio) che si libererà «un posto di lavoro ogni due persone che andranno in pensione». Lo stesso Reddito di cittadinanza, sempre leggendo la relazione della Banca d’Italia, «nel confronto con il Reddito d’inclusione, è relativamente meno generoso per i nuclei con minori rispetto a quelli con soli adulti». Un programma serio per favorire la natalità è sempre rimasto tra i buoni propositi, insieme a quello per realizzare una vera parità di genere che accresca l’occupazione femminile senza penalizzare la famiglia.

Il tema annoso dell’occupazione giovanile non è solo una questione di incentivi fiscali, di decontribuzioni contrattuali. E’ qualcosa di più sottile e preoccupante. Le politiche pubbliche sono inadeguate, certo. Ma non basta questa consolidata carenza a spiegare la costante sottovalutazione culturale dell’investimento nei giovani. Atteggiamento tipico di una società anziana, refrattaria all’innovazione, in ritardo nel cogliere le sfide del mondo digitale, in parte ripiegata su sé stessa. Ciò è il riflesso di un ridotto livello di conoscenze e competenze di giovani e adulti, nota ancora la Banca d’Italia. Ma anche, aggiungiamo noi, il portato di un modesto ricambio generazionale, dell’inesistenza in molte delle aziende italiane di piani di successione, di percorsi di carriera più gratificanti. E di retribuzioni per diplomati e laureati meno umilianti. Ci prendiamo cura degli anziani, ed è un meritevole aspetto del nostro capitale sociale, ricco di buone relazioni e spinte solidali. Meno dei giovani, forse perché in parte se ne sono andati. Non ci sono, dunque invisibili. Nessuno parla delle loro pensioni, soprattutto integrative, che probabilmente non avranno mai o riceveranno in modesta entità, visti i rapporti discontinui e di basso valore contributivo. Oltre due milioni di loro non studiano né lavorano. Un grande spreco di vite e di talenti. In altre stagioni avrebbero manifestato nelle piazze. Oggi se ne vanno. Una protesta silenziosa. Parentesi chiusa. Ora possiamo tornare a occuparci, come si fa da troppi anni, di come addebitare loro, indebitandoci di più, errori, egoismi e miopie di generazioni più fortunate.

CORRIERE.IT

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