Tasse e cittadini: qualche taglio ma poca equità

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Ma l’Iva agevolata, al 4 o al 10 per cento, costituisce già di per sé una forma di sconto. Se il regime attuale (pensiamo solo agli acquisti di cosiddetti «beni significativi» per interventi domestici con aliquota al 10 per cento) venisse confermato sarebbe in conflitto con la tosatura, per esempio, delle detrazioni per le ristrutturazioni edilizie e il risparmio energetico.

Si sono sempre esclusi dall’area di un possibile intervento quegli sconti considerati strutturali ai tributi. Per esempio le detrazioni per redditi di lavoro dipendente, pensione, figli a carico, ecc. Ma la Corte dei Conti, nell’ultima relazione, a pagina 67, ritiene opinabile che lo stesso ragionamento si possa applicare all’Iva, esclusa dai possibili interventi ipotizzati anche nell’ultimo Def (Documento di economia e finanza).

Le stime

L’insieme delle cosiddette tax expenditure era stato calcolato nel 2011, dalla Commissione Ceriani, in 720 misure per complessivi 254 miliardi. Un’altra stima del ministero dell’Economia, su dati più recenti e con criteri diversi, ne calcola 466 per un importo di 54 miliardi, di cui 65 che riguardano l’Iva per un ammontare di poco inferiore ai 2 miliardi. Nella nota della Corte dei Conti si ricorda che in altri Paesi europei le eccezioni sono meno frequenti. La Danimarca per esempio ha un’aliquota unica. Anni fa si calcolò che se qualcosa del genere si facesse anche in Italia, visto il peso specifico delle agevolazioni, se ne dovrebbe applicare una sola al 16 per cento. A parità di gettito ovviamente. Un aumento selettivo dell’Iva, imposta regressiva, cioè che pagano tutti, avrebbe un costo politico a questo punto assai elevato. E suonerebbe come una smentita a tutte le dichiarazioni ufficiali di membri del governo. IMMOBILI

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Eppure dal punto di vista della teoria economica avrebbe qualche senso. In un paper di fine 2018 dell’ufficio studi di Confindustria (capo economista Andrea Montanino) si spiega che la pressione fiscale e contributiva sul lavoro è la più alta d’Europa, quella sui consumi la più bassa. Sul lavoro c’è solo Italia. Sui consumi ci sono anche molte importazioni. Il prelievo fiscale e contributivo, al netto del sommerso, è in Italia (dati 2016) pari al 53,4 per cento contro una media dell’Eurozona del 46,8.

Chi paga le tasse ne paga tante, troppe. Il tempo necessario per un’azienda tipo italiana per assolvere gli obblighi fiscali, secondo l’indagine Paying taxes della Banca Mondiale, ammontava nel 2016 a 238 giorni l’anno contro i 218 di un’impresa tedesca, i 152 di una spagnola, i 139 di una francese.

L’impresa

Il proposito di sfoltire questa foresta di eccezioni, che non ha pari al mondo, è lodevole. Risponde alla necessità di semplificare un sistema fiscale che proprio per la sua storica tendenza ad affastellare un ginepraio di norme incomprensibili, si espone alla critica del contribuente e spesso ne giustifica la riottosità se non la fuga. Il già ricordato rapporto sulle spese fiscali 2018 del ministero dell’Economia, allegato alla legge di Bilancio 2019, elenca 120 misure che hanno un onere per l’Erario inferiore ai 10 milioni. Ma soprattutto 152 che hanno un impatto non quantificabile. Sconosciuto. Se la manovra fiscale del governo si porrà come obiettivo irrinunciabile, propedeutico alla flat tax, quello di disboscare con intelligenza e raziocinio la foresta delle eccezioni, ben venga. Se troverà nei risparmi fiscali almeno una parte della copertura del provvedimento, il governo sarà su una buona strada. Se finalmente metterà mano a una seria spending review (ma i commissari che fine hanno fatto?) dimostrerà coraggio. Se poi affronterà la spinosa questione dell’evasione fiscale, dopo aver varato ben dieci condoni nella legge di Bilancio 2019, il ravvedimento operoso, chiamiamolo così, riceverà consensi e applausi. tasse

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di Alberto Brambilla e Paolo Novati (Centro Studi Itinerari previdenziali)

A proposito: l’evasione Iva è stimata in 36 miliardi l’anno. Un quarto di tutta l’Iva evasa nell’Unione europea. Un record di cui non andare fieri. Basterebbe spingere l’acceleratore sulle transazioni elettroniche per recuperare gettito. Creare un meccanismo virtuoso di conflitto d’interesse tra cliente e commerciante, ipotizzare forme di credito d’imposta con l’uso delle carte di credito. Gli strumenti efficaci non mancano. Ci vuole volontà politica e consapevolezza che riducendo le agevolazioni, lottando contro il nero e l’evasione, qualche consenso lo si perde.

La giustizia

E l’equità? La flat tax sarà a vantaggio di chi guadagna di più? In teoria un minimo di progressività potrebbe essere salvaguardata da un sapiente uso di deduzioni e detrazioni, franchigie e soglie. Ma, diciamolo chiaramente, l’equità interessa ancora alla maggioranza degli italiani? Qualche dubbio è legittimo. Nella filosofia fiscale della Lega, tanto premiata il 26 maggio, gli obiettivi principali sono ridurre e semplificare. Se l’equità fosse irrinunciabile non si sarebbe fatta quota 100 nelle pensioni che scarica i costi sulle generazioni future. E nemmeno quell’inizio di flat tax al 15 per cento che premia, a parità di reddito, gli autonomi con partita Iva rispetto ai dipendenti soggetti al regime Irpef. E spinge questi ultimi, anche in accordo con i datori di lavoro a trasformare la natura dei contratti. Chi paga regolarmente il Fisco subisce la più grave delle iniquità.

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