Il terrore delle elezioni anticipate: un giorno di panico in Parlamento

E anche la poltrona.

In caso di nuove elezioni, cinquantasei di loro, già al secondo mandato, secondo le regole del Movimento non potrebbero infatti ricandidarsi. Nell’elenco di quelli che dovrebbero tornare alle vecchie occupazioni, se ce l’avevano, ci sono anche capi e capetti: da Luigi Di Maio al presidente della Camera Roberto Fico, dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede a quello per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro; e poi Carla Ruocco, Giulia Sarti, il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, quello agli Interni Carlo Sibilia, la ministra della Salute Giulia Grillo e la vice-ministra dell’Economia Laura Castelli.

Quelli che potrebbero essere rieletti sono ugualmente mogi: hanno imparato a memoria gli ultimi sondaggi, diffusi da La7, con il Movimento che è dato ad un tragico 17,5%. Come direbbe la leggendaria Paola Taverna (lei rischia invece al Senato), «O’ capirebbe pure mi’ nonna»: almeno la metà dei presenti resterebbero a casa perché non più votati. Il che significherebbe: addio stipendione, addio privilegi, addio caffè alla buvette (una vera ciofeca: ma che, bevuto a questo bancone, ti fa lo stesso sentire tanto onorevole).

Federica Dieni — al secondo mandato — ha già un piano. «Torno a Reggio Calabria e mi apro uno studio legale. Arrivai che avevo solo 26 anni e mi ero appena laureata. Certo, lasciare tutto sarebbe seccante. Ma è Salvini a decidere. Anzi, ecco: ci sono novità?».

Gentili, disponibili, quasi teneri.

Lei sa qualcosa?

No, perché a noi Giggino non dice niente.

Giggino deciderà tutto con Davide Casaleggio.

Noi siamo carne da battaglia.

Sono gli stessi che arrivarono con sguardi truci. La filastrocca del gran capo imparata a memoria: «Voi giornalisti siete delle larve, dei vermi, dei lombrichi che strisciano e che presto spariranno». Poi Grillo è tornato a fare il comico e loro sono rimasti qui, in attesa di sapere cosa decide Salvini.

«Appunto: se però pensa di rispettare il programma firmato, andiamo volentieri avanti», dice il sottosegretario grillino Di Stefano.

È dura, così.

«Noi vogliamo…».

È dura.

«Senta: per noi sarà pure dura, però lei non ha idea di cosa stanno facendo, in queste ore, quelli del Pd».

Che fanno?

«Ma no, lasciamo stare».

Proprio per niente. Che fanno?

«Ci implorano di non staccare la spina al governo. Dicono: non ci portate, vi scongiuriamo, alle elezioni».

Del resto, le altre facce molto pallide e angosciate sono proprio quelle dei deputati del Partito democratico.

La situazione è questa: alla vigilia delle scorse elezioni, Matteo Renzi formò i gruppi parlamentari di Camera e Senato a sua immagine e, diciamo così, somiglianza (a decidere le liste, barricati in una stanza: lui, la Boschi, Lotti e Bonifazi, che però entrava e usciva). Inevitabile perciò che, quando si andrà a votare, Nicola Zingaretti raddrizzi un po’ gli equilibri.

Risultato: i renziani più miti, che sperano in una riconferma — quelli di Base riformista: Malpezzi, Fiano e via dicendo — si riuniscono preoccupati con i loro leaderini, Guerini e Lotti, anche se Lotti ha i suoi problemi con la vicenda Csm; la vera guardia d’onore del renzismo (Giachetti, Scalfarotto, Ascani, Nobili) certa di essere tagliata, s’attacca invece al telefono con il capo e lo tormenta, dicendogli più o meno: Matteo, qui il rischio di andare a votare dopo l’estate è concreto, e allora se davvero vogliamo farlo, un nuovo partito, forse bisogna accelerare, o no?

Poi, va bene: Giachetti è furbissimo, ci è cresciuto in questo Transatlantico, e così la butta sul ridere, molto radical-piacione, molto «è tutto sotto controllo».

«Sotto controllo, scusi, in che senso?», chiede ironica Giorgia Meloni, che viene avanti con lo stesso passo dei suoi fortissimi sondaggi.

«Io direi che, andando a votare, il 70% degli attuali parlamentari, qui, non tornerebbe».

Continui.

«Penso che votare, prima o poi, si rivelerà l’unica soluzione: in modo da poter varare un bel governo Lega-Fratelli d’Italia…».

Avreste i numeri?

«Guardi: la Lega, quello che doveva prendere, ha preso. Mentre io ho la fila di quelli di Forza Italia che mi chiedono di salire a bordo».

La fila?

«Non posso farle i nomi. Ma è roba grossa».

(Pensieri maliziosi, sospetti. Tra una faccia bianca e l’altra, si sono fatte le cinque del pomeriggio).

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