Ci aiuta sempre Draghi
Dietro gli effetti a catena prodotti dal discorso di Sintra si possono leggere due dati, uno positivo l’altro meno. C’è la volontà del Governatore della Bce di trasmettere ai mercati la sua risolutezza nell’utilizzare “tutta la flessibilità garantita dal mandato per rispondere a qualsiasi sfida si possa porre all’obiettivo di stabilità dei prezzi”. Ma c’è pure la preoccupazione crescente sul fronte dell’inflazione: lo swap 5Y5Y, ovvero il tasso medio di inflazione fra 5 anni e per i successivi 5 – tra gli indicatori più importanti per la Bce nelle decisioni di politica monetaria – ha toccato il suo minimo storico.
Oggi Draghi è tornato sugli stessi punti affrontati al Consiglio direttivo di Vilnius del 6 giugno, ma con maggior forza: il Qe “ha ancora un considerevole spazio a disposizione” da un lato, e non ci sono remore a un rafforzamento della “nostra forward guidance modificando la sua condizionalità per tener conto delle variazioni negli aggiustamenti del percorso di inflazione”, dall’altro. La ragione, ha spiegato, è che “in assenza di miglioramenti, tali che il ritorno sostenuto dell’inflazione verso il nostro obiettivo sia messo a rischio, sarà necessario ricorrere a ulteriori stimoli”. Rassicurazioni che il Governatore ha in effetti già espresso in passato: meno di due settimane fa, in Lituania, erano già emersi i dettagli della terza tranche di maxi-prestiti alle banche T-Ltro, attesi dai mercati, come già si era fatto cenno al possibile ritorno del Quantitative easing e a un taglio dei tassi, quantomeno sui depositi (già negativi a -0,4%). Questa volta Draghi ha aggiunto un elemento che con tutta evidenza è stato accolto positivamente dai mercati: ha lasciato intendere che la stabilità dei prezzi verrà perseguita in “modo simmetrico”, cioè con possibili sforamenti al rialzo dopo periodi di inflazione troppo bassa. In altre parole, andando per un breve lasso di tempo anche oltre quel 2% che secondo le norme statuarie di Francoforte è la soglia a cui l’inflazione dovrebbe avvicinarsi ma senza oltrepassarla.
Le borse hanno accolto con euforia le parole dell’inquilino dell’Eurotower. E anche l’Italia ne ha tratto evidente giovamento: lo spread è calato a quota 243 punti base, con il rendimento del Btp decennale benchmark che ha chiuso ai livelli di maggio 2018, precedente alla nascita del Governo Conte. Proprio al premier non è sfuggito il rally dei titoli di Stato: “Se parliamo di iniziative assunte o che potrebbe assumere la Bce – e mi riferisco alla possibilità di intervenire col quantitative easing – è nelle sue legittime prerogative e potremo essere come Paese interessati da queste iniziative”, ha detto Giuseppe Conte. Un plauso, condiviso da Piazza Affari che ha chiuso al +2,5%.
Una mano tesa (indirettamente) da Francoforte al Governo italiano che in passato non ha lesinato critiche alla politica monetaria dell’ex governatore della Banca d’Italia – reo di non fare abbastanza per aiutare i paesi gravati da un alto debito pubblico. Ma pure un messaggio ai mercati su quello che è disposto a fare da qui fino alla scadenza del suo incarico, pur di non lasciare la Bce con aspettative così negative sull’inflazione. Di più: il discorso di Draghi assume le sembianze di ipoteca sul mandato del suo successore, quantomeno sul periodo iniziale. Perché difficilmente il nuovo inquilino dell’Eurotower potrà stravolgere l’eventuale ritorno a politiche espansive nell’arco di pochi mesi, qualora intendesse farlo. Le parole del banchiere italiano, in questo senso, spiegano bene il recente cambio di toni del presidente della Bundesbank, il temuto falco Jens Weidmann, in lizza per prendere il suo posto. Nelle ultime settimane le uscite pubbliche del Governatore tedesco si sono notevolmente ammorbidite, sulle voci di un suo possibile approdo alla guida della Banca centrale europea. Ma la sua contrarietà alle politiche monetarie adottate da Francoforte nel periodo più difficile della crisi è nota. Weidmann arrivò a testimoniare contro l’Omt di fronte alla Corte costituzionale di Berlino. Ieri falco, oggi colomba, perché la nomina del prossimo governatore della Bce è cruciale nel risiko dei top jobs di cui si discute dal giorno successivo alle elezioni europee. Ed è una nomina a cui l’Italia guarda con interesse misto ad apprensione.
Per il premier Conte, “ogni sistema economico assume le iniziative per difendere le proprie imprese e i propri cittadini”. In stile Trump, per intendersi. Lo stesso Trump che oggi si è adirato prendendo duramente di mira il governatore Bce e aprendo un inedito fronte tra Casa Bianca ed Eurotower: “Mario Draghi ha appena annunciato il possibile arrivo di altri stimoli, facendo immediatamente calare l’euro contro il dollaro, e rendendo ingiustamente più facile per loro (l’Europa, ndr) competere con gli Stati Uniti. Sono anni che lo stanno facendo, insieme alla Cina e ad altri. È sleale”.
Nella “guerra dei tassi” tra Usa ed Eurozona c’è un aspetto ironico e beffardo per il Governo italiano: Trump, ieri elogiato dal vicepremier italiano Matteo Salvini in visita negli States, incarna oggi il ruolo dell’avversario mentre Draghi, spesso attaccato in passato da Lega e M5S, è il più valido alleato dell’esecutivo gialloverde perché dispone, e pare intenzionato a utilizzarli, degli unici strumenti utili all’Italia per sottrarsi alla minaccia finanziaria dello spread, nella fase più delicata del suo negoziato con Bruxelles sulla procedura di infrazione.
L’attacco di Trump è quindi rivolto a Francoforte, ma nasconde anche l’auspicio che la sua banca centrale capisca qual è il da farsi. Domani infatti si terrà la riunione del Federal Open Market Committee, il braccio di politica monetaria della Federal Reserve. Il tycoon da tempo preme sul presidente Jerome Powell per un taglio dei tassi, dopo nove rialzi consecutivi da dicembre 2015 a dicembre 2018. Di recente Powell ha aperto in questa direzione (alcuni investitori si aspettano tagli già a partire da luglio) ma evidentemente il presidente Usa ha avvertito l’esigenza di rammentare alla Fed cosa si aspetta la Casa Bianca. Sarà un caso ma nel pomeriggio è stata fatta trapelare una velina su alcuni approfondimenti legali per un eventuale declassamento di Powell da presidente Fed: in altre parole, una sua sostituzione. Indiscrezioni subito smentite, ma di certo non passate inosservate. Non siamo certamente ai livelli del “whatever it takes”, ma le parole di Draghi di oggi qualche effetto lo hanno prodotto.
L’HUFFPOST
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