Se Trump si riscopre un fan di Draghi e del Qe

Powell, complici le problematiche borsistiche di fine 2018, ha gradualmente abdicato alla sua iniziale strategia di graduale aumento dei tassi di sconto del denaro oltre la soglia del 2,5% e di recente ha lasciata aperta la porta per un calo ulteriore degli stessi; tuttavia, non si è voluto avventurare in un nuovo stimolo monetario come invece sembra essere intenzionato a fare Draghi per impegnare il suo successore, che sarà designato in autunno, a seguire piani come le Outright Monetary Transitions (Omt) o nuovi programmi simili, per conformazione, al concluso quantitative easing.

A Trump piace Draghi perché è l’emblema della filosofia del quantitative easing permanente in cui è maturato il successo economico del suo primo biennio di amministrazione, in cui gli Usa hanno centrato l’obiettivo del presidente di una crescita al 3%. La combinazione tra bassi tassi di sconto, credito facile e espansione borsistica favorisce lo sviluppo degli choc e degli utili aziendali ottenuti sul terreno finanziario, e per un presidente come Trump, che più volte si è vantato dei record raggiunti da Wall Street nella sua amministrazione, questa è una notizia da tenere assolutamente in considerazione. Il quantitative easing permanente è al tempo stesso croce e delizia della Trumpnomics: delizia, perché interpreta al meglio lo spirito del mondo che informa la visione del mondo di Trump; croce, perché è certificazione della dipendenza delle borse dal sostegno delle banche centrali e foglia di fico posta su più ampie problematiche dell’economia reale e dell’industria dall’aumento degli utili corporate.


“Gli attacchi di Trump”, scrive Il Sole 24 Ore, “sono aumentati con la campagna elettorale, alla vigilia del primo dei due dibattiti televisivi tra i candidati democratici. L’altro giorno in una serie di tweet era tornato sull’ultimo meeting della Fed in cui si è deciso di mantenere invariato il costo del denaro al 2,25-2,5%, lasciando le porte aperte a un futuro taglio dei tassi (…) Parlando al Council for Foreign Relations, davanti alla comunità finanziaria, due giorni fa Powell ha risposto a Trump ribadendo che “la Fed è indipendente” e che il suo operato non è condizionato dalla politica: “Siamo umani, possiamo commettere errori, spero non spesso, ma non faremo errori sulla nostra integrità”. Tuttavia, l’idea che per il presidente della Fed i giorni possano essere contati è tutt’altro che peregrina. Da statuto, Trump potrebbe rimuovere il capo della Fed solo in caso di grave strappo istituzionale o di irregolarità conclamate di quest’ultimo. Tuttavia, difficilmente un banchiere centrale può restare in sella in assenza di cooperazione concreta col suo governo. Trump cerca un uomo alla Draghi capace di rilanciare un quantitative easing a stelle e strisce: nell’apparato della Fed, l’unico uomo spendibile in tal senso pare essere proprio il leader della Fed di Saint Louis James Ballard. Ma si tratta solo di indiscrezioni. In ogni caso, con la campagna elettorale alle porte, Trump necessiterà di portare a suo favore un numero crescente di successi economici: e non è difficile pensare che questa volontà porti a un aumento delle tensioni incrociate tra le politiche della Casa Bianca e quelle della Federal Reserve.

INSIDEOVER

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