Aziende in crisi: procedure ancora aperte dopo quasi 20 anni
129 gruppi commissariati
Mercatone è il caso estremo che svela i limiti della normativa a protezione delle grandi aziende. Sono due le leggi che regolano le crisi: la Prodi bis, del 1999, e la Marzano, scritta a fine 2003 per salvare la Parmalat. La prima prevede non meno di 200 dipendenti, la seconda richiede almeno 500 dipendenti e debiti superiori a 300 milioni.
Vediamo i numeri ufficiali, aggiornati a marzo 2019. Escluse quelle nel frattempo fallite, risultano 101 le procedure aperte ex Prodi bis affidate a 111 professionisti, dei quali 41 con più incarichi. Leggi le 101 procedure aperte ex Prodi bis + Poi ci sono 28 procedure ex legge Marzano, tra le quali Volare, le due Alitalie, Tirrenia, Valtur, Ilva, Condotte, Piaggio Aero Industries. I professionisti incaricati sono ad oggi 48, di cui una decina con incarichi anche in aziende in Prodi bis. Leggi le 28 procedure aperte ex legge Marzano +
Chi sceglie i commissari
Fino al 2016 la nomina dei commissari era a discrezione del ministro. Poi Carlo Calenda decise un bando pubblico per ogni procedura e una commissione che vaglia i candidati e li propone al ministro. Dal 2018 il ministro Luigi Di Maio ha introdotto il sorteggio. Ma se c’è un motivo valido (a discrezione del ministro), si può tornare alla nomina diretta.
È quello che è successo ad aprile con l’Ilva. Il ministro Di Maio decide di sostituire i vecchi commissari per il risanamento ambientale, la scelta cade su Francesco Ardito, avvocato e dirigente di Acquedotto Pugliese, Antonio Lupo, avvocato, e Antonio Cattaneo, revisore contabile e partner di Deloitte. Quest’ultimo lascia quasi subito l’incarico per «conflitto di interessi». Pochi giorni dopo, Cattaneo è stato estratto a sorte come nuovo commissario di Mercatone Uno. Stavolta il professionista non ha riscontrato conflitti, nonostante Deloitte sia stata tra i consulenti incaricati dai precedenti commissari.
Gli incarichi multipli
In pratica i professionisti che stazionano nei paraggi di Via Veneto, sede del ministero, sono sì e no 150, sempre gli stessi, e devono essere molto rapidi a candidarsi: nel caso di Mercatone Uno, il bando del 12 giugno scadeva alle due del pomeriggio del 14, praticamente dopo soli due giorni; quello per commissario giudiziale di Stefanel era del 24 giugno, con scadenza giovedì 27: tre giorni appena per la selezione, compresi sabato e domenica. Sono tutti avvocati, revisori contabili, commercialisti, che hanno già una fiorente attività privata, accademica, e incarichi nei cda di grandi aziende, a dover gestire anche le amministrazioni straordinarie, spesso multiple. I campioni: Stefano Ambrosini (a quota 6), Stefania Chiaruttini (a quota 5), Alberto Falini (quota 5), e poi Oreste Michele Fasano, Giuseppe Leogrande, Renato Nigro, Franco La Gioia, Lucio Francario (a quota 4). Insomma la domanda da sempre è: quanto tempo possono dedicare alle aziende da rimettere in carreggiata? E chi controlla più di cento procedure?
Le agonie in piedi da 20 anni
Sono pochi i casi di successo: quello più noto è Parmalat, che venne risanata da Enrico Bondi in circa due anni convertendo i debiti in azioni. Di solito però i commissari tengono in piedi l’azienda in attesa di un acquirente per salvare i posti di lavoro, che è il vero obiettivo della procedura. In media servono 1-2 anni ma le procedure restano aperte anche per 19 anni. È il caso del gruppo Bongioanni, in Prodi bis dal marzo 2000; Cirio, Giacomelli e Tecnosistemi sono del 2003, Minerva Airlines, Arquati e Olcese del 2004; Parmatour del 2005. Tutte ancora aperte in attesa delle cause di responsabilità e di recupero crediti. Il tempo però non gioca mai a favore.
Il caso emblematico: Mercatone uno
Nel 2015 i soci di Mercatone Uno, Romano Cenni e Luigi Valentini, chiedono il concordato in bianco: ci sono 500 milioni di debiti e quasi la metà dei punti vendita da chiudere perché bruciano cassa. Gli azionisti non ci stanno e dato che Mercatone è una grande azienda preferiscono finire in amministrazione straordinaria. I tre commissari, l’avvocato Stefano Coen, il commercialista Ermanno Sgaravato e l’esponente delle Coop Vincenzo Tassinari, fedeli all’imperativo del Mise di salvare i posti di lavoro tengono aperti i negozi e riaprono quelli nel frattempo chiusi, cercando di vendere il gruppo in blocco. La valutazione la affidano al prof. Laghi (contemporaneamente commissario di Ilva e Alitalia). La prima asta da 280 milioni va deserta; alla seconda il prezzo scende a 220, ma anche stavolta non si presenta nessuno. Parte allora la trattativa privata.
La toppa peggiore del buco
Nel 2018 — tre anni dopo il crac — la gran parte dei punti vendita (55) finisce in mano alla Shernon Holding di Valdero Rigoni (reduce da un precedente fallimento) per un tozzo di pane: 10 milioni di euro, più l’impegno all’acquisto degli immobili. Ma i soci finanziari non ci sono, Shernon di fatto è una scatola vuota con sede a Malta, e fallisce dieci mesi dopo. A maggio 2019, a fronte di un attivo di 15 milioni, aveva maturato debiti per 101 milioni, di cui 11 nei confronti dell’Inps, e 8 verso 20 mila clienti che hanno versato anticipi per merce mai ricevuta. Che si aggiungono ai 200 milioni di debiti maturati nei tre anni di amministrazione straordinaria, dei quali 80 milioni verso i fornitori, e 50 milioni di contributi previdenziali non versati ai 1.800 dipendenti. E adesso è ripartita la giostra con altri 3 nuovi commissari.
Compensi milionari anche se il risultato è zero
Chi paga il conto? I contributi non versati saranno ripianati dalle nostre tasse, mentre per i circa 500 fornitori, che dall’inizio della crisi ad oggi, hanno perso più di 300 milioni, non ci sarà paracadute, perché sono piccole imprese, e rischiano a loro volta la chiusura. Mai avrebbero fornito merci ad un’azienda piena di debiti, se non ci fosse stata la garanzia (tradita) della presenza dello Stato attraverso i Commissari. Ora, se i commissari appena nominati riusciranno a vendere i centri commerciali, il valore di realizzo si aggirerebbe sui 60 milioni. Poi si aspetteranno i tempi della giustizia: i vecchi commissari hanno fatto causa agli ex soci di Mercatone per 320 milioni. Nel frattempo le loro parcelle però maturano lo stesso. Quelle sì che sono «straordinarie», perché calcolate in relazione al passivo dell’azienda e all’attivo. Il compenso liquidabile ai vecchi commissari Coen, Sgaravato e Tassinari è di 7,2 milioni di euro. Quello effettivo lo stabilirà il Ministero, e per legge arriverà prima di pagare gli altri crediti.
Cosa è cambiato dal 2016
Per le procedure iniziate dopo il 2016 è stata introdotta una riduzione del 20% rispetto ai compensi precedenti, e un sistema di premi o penalità in relazione ai tempi di chiusura della procedura stessa. In teoria più tempo ci metti e più spendi (in consulenze, avvocati eccetera) e meno ti pago. Secondo le stime del Mise, il compenso medio per il commissario di una grande procedura è sceso da 5,48 milioni a 3,2-2,4 milioni, a seconda del maggiore o minore successo; per una media procedura, da 1,5 a 1,3; per una piccola, da 580 mila a 538-360 mila euro. Da dividere, se i commissari sono tre.
La riforma che non decolla
Magistrati, commissari, giuristi sono concordi: queste procedure non può gestirle la politica, perché si allunga l’agonia senza pagare i debiti e facendone di nuovi. L’amministrazione straordinaria ha senso per le imprese strategiche, come Alitalia o Ilva, per le quali lo Stato è pronto a metterci soldi e a varare leggi ad hoc. Per le altre si dovrebbe riportare la competenza sul territorio, ai tribunali delle imprese, per proteggere al meglio i creditori, che in gran parte sono i fornitori. Con la riforma del diritto fallimentare dello scorso febbraio, che entrerà pienamente in vigore ad agosto 2020, si era provato a cambiare le cose. Ma la parte sulle amministrazioni straordinarie è stata stralciata. Per ora a vincere sono le rendite di posizione.
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