La Duma di Salvini

Passa, dicevamo, senza modifiche, in nome della ragion di governo in questo luna park populista in cui a giorni alterni si accendono le lucette dei penultimatum e quelle delle goffe riappacificazioni. Ed evidentemente nemmeno per il colto giurista che abita a palazzo Chigi è stato meritevole di un supplemento di riflessione il fatto che un giudice ad Agrigento ha rimesso in libertà Carola, la coraggiosa capitana della Sea Watch, riconoscendo che è stata coerente con l’adempimento di un dovere: salvare le vite umane. Quella sentenza è stata una disfatta politica, a stento coperta dalle invettive del ministro dell’Interno e dalla silenziosa complicità dei suoi alleati. Disfatta che, in un paese normale, poiché crea un “precedente”, avrebbe sollevato dubbi sulla “costituzionalità” del provvedimento o quantomeno avrebbe spinto a dipanare, in vista di altri casi analoghi, il cortocircuito giuridico prodotto da un decreto che mette “fuorilegge” chi applica le superiori legge del mare, per cui la messa in sicurezza delle vite umane viene prima di tutto. E invece l’approvazione del decreto arriva in un clima da atto dovuto, scontato, con la discussione compressa in un Parlamento trasformato nella Duma di Salvini, nel quale non precipita nulla della tensione tra i due alleati con cui viene sapientemente alimentato il gioco mediatico. Anzi, quotidianamente crolla una trincea di “resistenza”, come nel caso del ddl Pillon che solo qualche settimana fa i Cinque stelle giudicavano archiviato e ora approda in commissione al Senato con le loro firme in calce, dopo i ruggiti di Salvini dal gattile del Verano: una controriforma del diritto di famiglia che, con l’inganno della bi-genitorialità, restringe i diritti delle donne utilizzando i bambini come un disincentivo al divorzio, secondo quella visione arcaica della famiglia che ha animato la crociata del congresso di Verona.

Diciamo le cose come stanno: nel Palazzo è convinzione diffusa che il D-day della maggioranza si avvicini perché, dicono i soliti ben informati, “Salvini sta riflettendo veramente” e anche l’intervista di una vecchia volpe come Dario Franceschini (leggi qui) rivela questa convinzione da crollo imminente. Però, andando all’essenziale, questa strategia della tensione sta producendo un effetto opposto rispetto alla grande destabilizzazione annunciata. Una grande stabilizzazione. Già trapela, ad esempio, che l’avvocato del popolo si appresta a un discorso molto istituzionale sulla vicenda russa, prudente e retorico, in cui certamente rassicurerà sulla collocazione euro-atlantica del paese e sfoggerà la sua sapienza retorica presentandosi come colui che difende il governo più che Salvini. Ma, andando al dunque, non sfiderà il suo ministro dell’Interno, rivolgendogli quelle domande o presentandosi con una risposta ai tanti buchi neri di questa storia, adesso che i documenti pubblicati dall’Espresso dimostrano che una trattativa con i russi c’è stata, condotta da un uomo di fiducia del vicepremier, il cui ruolo è stato frettolosamente liquidato come quello di un “imbucato” agli incontri.

A ben vedere anche sull’affaire russo, l’asticella dell’indignazione di tutto il Movimento, di fronte a una indagine per corruzione internazionale è davvero al minimo sindacale, come al minimo sindacale è sul caso Arata, anche in relazione alle intercettazioni in cui compare il nome di Salvini, con Di Maio, in versione equilibrista, attento a non nominarlo per non alterarlo. In altri tempi, le fanfare dei professionisti dell’“onestà” suonavano per molto meno. E chissà se davvero Salvini parlerà in Aula o la solita Giulia Bongiorno gli consiglierà, visto che c’è un’inchiesta della magistratura, di evitare per prudenza, godendosi i titoli di giornata sul decreto sicurezza.

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