Vogliamo aiutare l’Africa? Compriamo rose. Ma attenzione al marchio

Il centro di smistamento d’Europa

L’Olanda non è più quindi il principale produttore mondiale, ma è comunque il più grande centro commerciale di smistamento di fiori recisi d’Europa.

Il 30% finisce in Germania, il 21% in Gran Bretagna, il 9,6% in Francia, il 4,3% in Italia. Il fornitore di rose numero uno per il mercato europeo è proprio il Kenya, che esporta l’87% della sua produzione in Europa, di cui la metà in Olanda dove arrivano per via aerea. Uno studio del 2007 della Cranfield University dimostra che l’uso del riscaldamento nelle serre per la produzione di fiori in Olanda consuma più energia e emissioni di anidride carbonica rispetto al trasporto dal Kenya.

Dove vengono prodotte

Il 95% delle coltivazioni è concentrato intorno al lago Naivasha. Uno dei primi a capire le potenzialità del luogo è il marine olandese della Seconda Guerra Mondiale Hans Zwager che nel 1969, proprio sulle rive del lago, acquista un allevamento di bestiame trasformato dopo qualche tempo nella fattoria di fiori Oserian. A partire dal 1982 l’azienda è diventata una delle più grandi della zona, con quasi un milione di pezzi al giorno su cinquemila ettari coltivati. A pochi chilometri di distanza, a Nairobi, l’olandese Dutch Flower Group ha il centro logistico leader del mercato mondiale dell’orticoltura. Il gruppo, fondato nel 1999 oggi ha un fatturato che supera il miliardo di euro, mentre intorno al lago Naivasha sono «fiorite» 150 aziende, in parte proprio di proprietà olandese.

Il mercato del lavoro

Una serra in fila all’altra ricoperta di polietilene, una delle plastiche più economiche ma con ottime proprietà isolanti in grado di proteggere le piantagioni dal sole battente, dal vento e dalla pioggia.

Così si presentano le coltivazioni intorno al lago Naivasha dove, secondo lo studio «Condizioni di lavoro emergenti nell’industria dei fiori recisi in Kenya» svolto dall’Università di Nairobi nel maggio 2018, la maggior parte dei lavoratori ha un’età compresa fra i 18 e i 37 anni. Il 60% sono uomini, il 40 donne, e uno su dieci non ha titoli di studio. La paga media dichiarata risulta di 89 dollari al mese, inferiore del 35% rispetto al reddito medio (sui 1.700 dollari l’anno). Lo scorso 14 febbraio – in occasione di San Valentino, il giorno in cui più d’ogni altro vengono vendute rose – Mary Kambo, consulente del programma Diritti del lavoro della Commissione per i diritti umani del Kenya legata all’Onu, rilancia il tweet della campagna di sensibilizzazione #WomenatWorkCampaign: «Faticare da anni raccogliendo rose per i mercati esteri dell’esportazione continuando a vivere in condizioni di estrema povertà: una condanna a morte che deve essere annullata da tutti gli attori della catena dell’orticoltura». L’argomento è stato al centro di una sessione della Commissione delle Nazioni Unite dello scorso marzo a New York: lo sfruttamento delle donne tocca la punta più alta proprio nelle piantagioni di rose.

L’impatto ambientale

Il mercato dei fiori è una fonte di sviluppo importante per il Kenya, e dimostra le potenzialità del continente africano. Affinché questa tendenza continui nel lungo periodo occorrerà migliorare le condizioni di lavoro e soprattutto quelle ambientali. Per ogni stelo servono in media 9 litri d’acqua, che vuol dire utilizzare fino a 47 miliardi di litri d’acqua in un anno. Un terzo viene riassorbito dal suolo insieme a grandi quantità di pesticidi e fertilizzanti. Quell’unico lago, che serve acqua ai 650 mila kenioti che vivono nelle zone limitrofe e consente le produzioni agricole di una vastissima area, si è già abbassato di 3,5 metri. Emerge da uno studio dal titolo «Mitigare l’impronta idrica dell’esportazione di fiori recisi dal lago Naivasha» condotto dal Twente Water Centre dell’University of Twente della città olandese Endeche. Ma risale al 2012. Ricerche più aggiornate sulla qualità e quantità di acqua disponibile non esistono, e senza la consapevolezza dei danni ambientali, sostenuta da un monitoraggio continuo, lo sviluppo di questo settore rischia il crollo.

La produzione ecosostenibile

I consumatori europei in realtà possono aiutare l’economia africana e la sua sostenibilità. Basta una piccola attenzione: quando si comprano rose, scegliere quelle con il certificato di commercio equo e solidale. Oggi in Kenya aderiscono la metà dei produttori. Il marchio garantisce che le coltivazioni non utilizzano sostanze nocive, che adottano il risparmio idrico ed energetico attraverso il riciclo delle acque e l’irrigazione avviene con sistema idroponico per l’uso controllato dell’acqua. Aiutando l’Africa, ricordiamolo, aiutiamo anche noi.

CORRIERE.IT

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