Fondi russi, nel giorno della verità il collasso 5 Stelle
In queste parole c’è la candida ammissione di impotenza da parte di un presidente del Consiglio che non ha forza, autorevolezza e coraggio di chiedere al suo ministro, sprezzantemente assente dall’Aula, nemmeno un’informazione sul ruolo e sui rapporti con l’uomo chiave dell’inchiesta. È il passaggio chiave, che rende pressoché superflue tutte le parole e le rassicurazioni sulla collocazione internazionale del paese, perché la rinuncia alla “trasparenza” avvolge in un velo di omertà la questione di fondo. E cioè quale sia il tasso effettivo di sovranità di palazzo Chigi di fronte alle scelte di collocazione geopolitica del paese, adesso che è acclarato che “trattativa” c’è stata ma che il presidente del Consiglio non è in grado di spiegare. Immaginate, per comprendere questa Caporetto politica e morale, cosa sarebbe successo con un qualunque altro premier e i Cinque Stelle all’opposizione. Le ombre russe sarebbero diventate oggetto di denuncia di opacità morale e di complicità politica, nei tempi in cui il semplice dubbio era l’anticamera della colpevolezza e la scelta di campo tra la procura e le trame di un partito sarebbe stata scontata.
Continua a leggere dopo il video
È il giorno della verità, in cui la trama si sgrana non nelle dirette facebook o nel profluvio dichiaratorio del consueto teatrino quotidiano, ma negli atti politici concreti che certificano il collasso identitario dei Cinque stelle che, nell’arco di ventiquattr’ore, votano il decreto sicurezza, rinunciano alla trasparenza su un caso di corruzione internazionale e capitolano sull’alta velocità, i nome di una “ragion di governo” che è semplicemente paura di andare a casa.
Nella reazione – rassegnata e senza tanti psicodrammi – c’è il compimento di una “mutazione genetica”: un Movimento, che pure seppe suscitare grandi entusiasmi e calore, si affida alla freddezza della realpolitik, propria di chi è ossessionato dalla perdita del Potere, senza che nessuno apertamente dissenta o si senta in dovere di lasciare una poltrona. È questo che è accaduto: i sedicenti rivoluzionari che scoprono il confort del palazzo d’Inverno e non rinunciano ad abitarne il salotto, chiuso come una scatola di tonno, con i suoi velluti e i suoi segreti: un presidente del Consiglio che sceglie di vivacchiare solitario y final, nonostante la sua sopravvivenza sia solo legata all’incertezza altrui sul da farsi, con buona pace dell’immagine affidata agli spin sulla sua “autorevolezza”, “responsabilità”, garante di una tenuta della legislatura, attorno a cui si intensificano le voci di un “suo” partito (non smentite).
Un ministro delle Infrastrutture “no Tav”, di fatto sfiduciato dal premier sulla realizzazione dell’opera, che resta al suo posto. L’annuncio di un’ennesima sceneggiata sull’Alta velocità, che si farà, come ha detto Conte, col suo partito che fa finta di criticarlo e presenterà una mozione in Parlamento, consapevole che non passerà, nel tentativo di “illudere” la base sulla propria non complicità. Manovra cinica e disperata, benedetta anche da Beppe Grillo, il Fondatore e custode dei valori delle origini, trasformatosi di fronte al collasso e all’esigenza del primum vivere da autentico capo-popolo in consumato capo-partito che corre in soccorso ai suoi.
C’è un Capo, dicevamo e sotto il nulla. Al Senato oggi, mentre parlava Conte, non c’era più maggioranza, anche perché non era richiesto un voto. Però è comunque un fatto politico di prima grandezza. È la prima volta che accade, il che certifica un salto di qualità, perché questa crisi strisciante è entrata dentro le istituzioni. Per la prima volta è uscita dai blog.
HUFFPOST
Pages: 1 2