L’esercitazione tra alpini e soldati dell’Oman
“L’obiettivo è un team con funzione Opfor (Opposing Force), cioè componente militare che ha compito di rappresentare il ‘nemico’ e della quale hanno fatto parte il plotone fucilieri della fanteria alpina, aliquote del Royal Oman Army e istruttori” spiega il Maresciallo Capo Agostina Pischedda, che ha trascorso la notte in quota in “attesa” degli attaccanti. E una delle fasi clou di SM2, nonché molto suggestiva: alle prime luci del giorno, dai pendii circostanti avanzano plotoni che circondano la postazione nemica. Distinguere i “buoni” dai “cattivi” è difficile poiché tutti indossano una sorta di armatura da samurai, protezioni sintetiche necessarie a contenere le marcanti. Il munizionamento e le armi (FN Minimi, Beretta ARX 160, Steyr AUG) , infatti, sono veri: stesso peso e stesso rumore, allo sparo, di quelle usate in un contesto reale non fosse che il colpo sparato si riduca ad una chiazza di vernice.
“Le protezioni – spiegano gli istruttori – sono necessarie per evitare lividi. È bene proteggersi bene, soprattutto il volto e le altri parti sensibili del corpo”.
Alle 7.30 di mattina il sole è già caldo e avanzare sotto quello strato protettivo è difficile: effetto sauna, sudore a gogo, movimenti resi meno fluidi e stanchezza per le poche ore di sonno trascorse in bivacco. Disagi tuttavia subito dimenticati al momento della “battaglia”, quando tutti i plotoni impegnati convergono sull’obiettivo. Niente deadline, si combatte fino a che si hanno munizioni e gli italo-omaniti si battono bene. Epica la sequenza di un giovane arabo lanciato all’assalto: finirà “crivellatto” dalla vernice, regalando però ai commilitoni e all’obiettivo che lo segue sequenze davvero eccitanti.
Attorno alle 8 la postazione avversaria è “occupata”. Qualche minuto per riposare, poi la raccolta capillare dei bossoli lasciati sul terreno, operazione alla quale nessuno si sottrae: grado o nazionalità non contano, perché l’area deve tornare pulita. Punto.
Boato improvviso e soldato omanita che salta come un grillo, gettandosi a terra e coprendosi la testa con le mani. Risate e applausi dei suoi e degli italiani: non è una bomba ma una piccola carica sfruttata nell’ambito dell’esercitazione… Serve anche questo, per stemperare la tensione e riprendersi.
Piccolo break e di nuovo in azione. Stavolta è l’anfiteatro naturale
di Monticchio a fare da sfondo, con le sue pareti verticali e un sole
caldissimo che batte sulle rocce. Due soli piaceri: il gradevole aroma
di origano nell’aria e scoprire una targa dedicata al pluridecorato
Tenente di Vascello Andrea Bafile originario di Monticchio, caduto nella Grande Guerra e con una falesia a lui dedicata.
Scrutando l’orizzonte si scorgono tre team in addestramento, due lungo
le pareti e uno a valle che assumerà, ancora una volta, il ruolo di
Opfor.
In teoria l’operazione è semplice: attaccare l’avamposto scendendo dalla quota a gran velocità, neutralizzare il nemico e recuperare eventuali feriti/ostaggi. In pratica è tutto più complesso: la discesa dal picco, infatti, è all’“australiana” specialità nella quale gli alpini del 9° sono maestri e che cercano di trasmettere ai colleghi arabi. Non è affatto facile, come ricorda un istruttore: “Continuerete a cadere o ad essere impacciati finché non avrete capito che il bacino va spostate tutto in avanti e che le funi vi tengono in completa sicurezza”.
È la dura legge del “vertical warfare”, cioè quel combattimento montano che fa della capacità di adattamento e della resistenza alle insidie della montagna (gelo, neve, rapidi cambiamenti di clima, terreno aspro, faticose scalate) i suoi punti cardine e degli Alpini fra le migliori truppe da montagna al mondo.
Dopo alcuni tentativi i team sono pronti. E il risultato è un vero spettacolo: l’esplosione di un paio di cariche dà inizio all’attacco con le penne nere che si muovono fra gli speroni con l’agilità di stambecchi. La discesa è velocissima: fucile sempre pronto a “rispondere” al fuoco (colpi a salve) e occhio due volte vigile, su dove si mettono i piedi e sulla linea dell’orizzonte. In pochi minuti, i militari si congiungono con i plotoni che arrivano dall’altro lato dell’anfiteatro naturale, occupando il campo avversario e dando l’ok alle squadre di soccorritori che si calano dalla vetta per recuperare un ostaggio sulla falesia. E’ a quel punto che si staglia in cielo la sagoma allungata di un AB412 dell’Aviazione Esercito in assetto “personnel recovery”. Fermo ad un centinaio di metri d’altezza, l’elicottero cala il soccorritore dal verricello e mette in sicurezza l’ostaggio per poi sparire fra le nuvole.
Coordinamento e celerità sono stati gli elementi di punti di una esercitazione cha profondamente colpito la delegazione militare omanita, un generale e il suo staff che segue con attenzione da un palco poco distante. Al suo fianco il Generale di Brigata Davide Scalabrin (Comandante della Brigata Taurinense) e il Colonnello Paolo Sandri (Comandante del 9° Alpini de L’Aquila) visibilmente soddisfatti per il risultato raggiunto.
INSIDEOVER
IL GIORNALE
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