Carabiniere ucciso, il collega Varriale nell’ordinanza: “Mario urlava “fermati, basta, siamo carabinieri”
Nell’ordinanza si riporta un’altra parte del racconto di Varriale: “Prima di accasciarsi Mario ha detto mi hanno accoltellato”. Secondo quanto raccontato da Varriale, i due carabinieri erano in borghese, ma avrebbero mostrato subito i tesserini ai giovani americani, venendo immediatamente aggrediti. “I due soggetti, notati di un atteggiamento palesemente guardingo e sospettoso, venivano da noi repentinamente avvicinati. Contestualmente ci qualificavamo come appartenenti all’Arma dei carabinieri attraverso anche l’esibizione dei nostri tesserini di riconoscimento” ricostruisce Andrea Varriale. “Ma i due – aggiunge – ancor prima di procedere a una qualsiasi forma di regolare controllo ci aggredivano fisicamente per vincere un nostro tentativo di bloccaggio”.
Segue l’aggressione, descritta da Varriale come estremamente rapida. “Le concitate fasi della lite si svolgevano con estrema rapidità e violenza” ricorda il militare, che dice di essere stato “aggredito dal soggetto con la felpa nera” che “dimenandosi fortemente con calci, graffi e pugni riusciva a liberarsi dalla mia presa”.
Il carabiniere Varriale era a Trastevere un’ora prima del vicebrigadiere Cerciello Rega accoltellato a morte nella notte tra giovedì e venerdì scorso nel quartiere Prati di Roma. “Dall’annotazione del carabiniere Andrea Varriale emerge che poco tempo prima di ricevere l’incarico di effettuare l’operazione in abiti civili volta al recupero dello zaino rubato a Brugiatelli, alle ore 1.19 Era intervenuto in piazza Mastai su ordine del maresciallo Sansone Pasquale, effettivo presso il comando stazione carabinieri di Roma Piazza Farnese, il quale gli riferiva di trovarsi sul posto unitamente ad altri operanti per la ricerca di un soggetto che si era sottratto all’identificazione dandosi alla fuga dopo aver consegnato ai militari un involucro di colore bianco contenente una compressa di tachipirina”.
La circostanza è riportata nell’ordinanza del gip Chiara Gallo di conferma del fermo e di custodia cautelare in carcere per i due americani responsabili della morte del vicebrigadiere dei carabinieri. Il militare poi ucciso da un americano reo confesso, secondo quanto emerge dalle carte, veniva contattato sul proprio cellulare dalla centrale operativa del comando gruppo Roma alle ore 2.10.
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Finnegan Lee Elder, il 19enne californiano che ha confessato di essere l’autore materiale dell’omicidio, ha ribadito al suo difensore di “non avevo capito che era un carabiniere, ho avuto paura, credevo fosse uno dei pusher”.
Il gip aggiunge le considerazioni sui due californiani fermati, Elder Finnegan Lee e Gabriel Christian Natale Hjorth: “Nessuno dei due indagati ha dimostrato di aver compreso la gravità delle conseguenze delle proprie condotte, mostrando un’immaturità eccessiva anche rispetto alla giovane età e al grado di violenza che connota le condotte di entrambi”. Inoltre le condotte dei due “testimoniano la totale assenza di autocontrollo e capacità critica evidenziandone la pericolosità sociale”. Il giudice scrive inoltre che i due americani “erano alla ricerca di sostanze stupefacenti nel corso della serata e che entrambi avevano bevuto alcol”. Stando all’ordinanza, Natale ha riferito che “solo in albergo Elder ha detto di aver usato un coltello”. Mentre Elder ha affermato che a nascondere il coltello sarebbe stato Natale nel controsoffitto dell’hotel. Il gip ha scritto ancora che “emergono il pericolo di fuga e il pericolo di concreto reiterazione dei reati analoghi desumibile dalle modalità e circostanza dei fatti”, visto che i due ragazzi “sono stabilmente residenti all’estero, presenti in Italia occasionalmente e sorpresi dalla polizia giudiziaria in procinto di lasciare l’albergo subito dopo avere commesso i delitti in contestazione, condotta quest’ultima che non può non ritenersi finalizzata a far perdere le proprie tracce”.
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