Il governo del signor Savoini

Salvini, dunque, e Savoini erano e sono la stessa cosa, Salvini ha mentito, parola del premier, per la prima volta costretto a difendersi dalle interruzioni, a scaricare il compagno di partito di un vice-premier e a fronteggiare la rabbia dell’altro partito. Il ministro dell’Interno ha mentito, ma è una sua questione privata, perché privato cittadino è il signor Savoini, è la sconcertante conclusione cui è arrivato il capo del governo, proprio nel giorno in cui la procura di Milano ha fatto sapere che Gianluca Savoini è indagato «come uomo della Lega». E sono privati gli incontri di Salvini a Mosca, mai smentiti, anche se riguardano i dossier più delicati del paese.

Privato, evidentemente, per il premier italiano, anche il ruolo del «signor Claudio D’Amico», l’uomo che ha portato Savoini a Mosca e a cena con Vladimir Putin a Roma il 4 luglio, consulente strategico del ministro Salvini, il cui incarico può venire meno solo in caso di «giuramento di un nuovo governo», ha garantito ancora l’avvocato-professore Conte. A capo basso mentre l’aula esplodeva in urla e insulti. Umiliato fino al punto di dover ammettere: «Non ho ricevuto altre informazioni dal ministro competente», cioè Salvini.

Va così il tentativo con cui il premier sta provando a infilarsi nel vuoto di politica di queste settimane e a ritagliarsi un ruolo da protagonista, ovviamente negato. «Se maturassero le condizioni per una cessazione anticipata del governo…», è sembrato voler esorcizzare quello che le assenze nei banchi della maggioranza già stanno lì ad anticipare.

Conte guida il governo delle assenze: non c’era Salvini al Senato, non c’erano Di Maio e i 5 Stelle. E guida, al tempo stesso, il governo delle presenze sgradite. Il governo del signor Savoini, seduto a un vertice bilaterale delicato. Il governo in cui il dimissionario Armando Siri incontra le parti sociali e parla di riforma fiscale. È il governo Savoini-Siri che spunta dalle sabbie mobili gialloverdi.

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La trattativa Lega-Russia: ecco le carte segrete

Un negoziato durato mesi. Una banca d’affari. L’Eni. Il racconto dell’intrigo russo per i soldi al partito di Salvini con documenti finora rimasti riservati. Che smentiscono le bugie del ministro

In questa estate di scioperi, di blocchi navali e ferroviari, in questa stagione di metamorfosi, il governo del Cambiamento nato più di tredici mesi fa si dimostra del tutto incapace di cambiare l’Italia ma molto spregiudicato nel cambiare se stesso, la pelle dei propri protagonisti, il volto con cui in un tempo che appare ormai lontano chiesero e ottennero il voto degli elettori, nel 2018.

Luigi Di Maio, il giovane-vecchio spuntato dalla pianta grillina, il figlio prediletto del Movimento 5 Stelle, si inventa il Mandato Zero per coprire lo zero di cultura politica, organizzazione, leadership, insomma i tre elementi che tengono insieme un partito e che dieci anni dopo la fondazione e un anno e più di governo continuano a mancare a M5S. È il primo passo della lunga traversata dei post-populisti nelle istituzioni, se vogliamo dirla bene, nell’area del governo e del sottogoverno, a spiegarla in altro modo.

Il Movimento si trasforma: da partito anti-sistema a partito architrave del sistema, da incolore – privo cioè dei tradizionali colori della sinistra o della destra – al grigio o blu ministeriale, con un’unica prospettiva, durare al potere. Il No Tav che doveva essere l’estrema barricata, il principio non negoziabile, diventa un Sì Tav convulso, con il povero senatore Alberto Airola che abbaia alla luna.

Fu nel 2010 il primo exploit elettorale di M5S in val di Susa: a Bussoleno M5S primo partito con il 28 per cento, a Venaus il Pdl al 10, il Pd al 10, la Lega al 12, M5S al 29,8. Una valanga di voti che costarono la conferma alla presidente della regione del Pd Mercedes Bresso, sconfitta dal leghista Roberto Cota. In quelle settimane sfilavano i cortei, una mamma ricoverata con il volto fasciato dopo una carica della polizia (“Marinella, una di noi”) e uno striscione con una scritta inequivocabile: «Pidi e Pidielle in culo le vostre trivelle». Rima stentata, ma chiara.

Salvini, Mosca e il tesoro di Siri: la copertina dell’Espresso in edicola da domenica 28 luglio

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La carica del No, che poi nella crescita elettorale era diventata il no alla casta, il no ai vitalizi, ai doppi mandati, ai parlamentari condannati, al professionismo della politica. Un no che andava oltre la valutazione costi-benefici dell’opera in questione, in cui si sono impaludati i 5 Stelle e su cui, alla fine, ha deciso il presidente del Consiglio Conte: «Fermare la Tav costerebbe agli italiani più che farla».

Nel giorno in cui il simbolo dell’anti-corruzione Raffaele Cantone ha lasciato l’incarico, senza troppi rimpianti da parte del movimento che dell’onestà aveva fatto la sua bandiera. Il trasformismo di Di Maio ha fatto ruotare i 5 Stelle, dal no a tutto al sì a tutto. Posizione forse obbligata, dopo la sconfitta alle elezioni europee, ma in ogni caso spettacolare e sorprendente. Dall’incontro con i gilet gialli al voto per Ursula von der Leyen, nella politica antica sarebbero servite ere geologiche, scissioni, cambi di leadership, in quella leggera come l’attuale è sufficiente un cambio di passo. Per sopravvivere, il Movimento si candida a essere la ruota di scorta, la stampella di quel Sistema che voleva abbattere. Il principale garante della stabilità.

Una metamorfosi che segue passo passo, come se fossero neuroni specchio, quella mancata di Matteo Salvini.

Nel mese di febbraio, suppergiù alla vigilia della pubblicazione della prima puntata della nostra inchiesta sull’inizio delle trattative per un finanziamento russo in vista della campagna elettorale della Lega (L’Espresso, 24 febbraio) , Salvini aveva provato a proporsi come socio della nuova Europa, da costruire con i big del continente, in rappresentanza della nuova Italia.

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Quei 3 milioni russi per Matteo Salvini: ecco l’inchiesta che fa tremare la Lega

Un incontro segreto a Mosca. E una trattativa coi russi per finanziare la Lega. L’escamotage: una mega partita di gasolio. Il disegno: aiutare i sovranisti a vincere le elezioni europee. E dopo sei mesi spunta l’audio dell’incontro

L’inchiesta sui rapporti tra la Lega e la Russia l’ha fotografato così, con un piede infilato ancora nelle stanze del potere della Mosca di Vladimir Putin, incapace di spiegare cosa sia successo nella notte ormai famosa tra il 17 e il 18 ottobre 2018 nella capitale russa e con il suo uomo all’hotel Metropol, il signor Gianluca Savoini, onnipresente e ingombrante, e con l’altro piede in procinto di avanzare verso il ruolo guida dell’Italia, paese da sempre collocato nel quadro delle alleanze occidentali, atlantiche e europee (come spiega Umberto Gentiloni).

Salvini si è dimostrato in grado di raccogliere un gran consenso, cavalcando l’algoritmo della rete che gli consiglia di schierarsi contro le Ong nel Mediterraneo e i servizi sociali dell’Emilia sul caso Bibbiano, uniti in una grande operazione di criminalizzazione. Ma non è riuscito a compiere il salto e la sua egemonia ora appare numerica, ma non politica, lo intuisce un grande vecchio saggio come Rino Formica, esperto di frontiere e sottile lettore di trame interne e internazionali, intervistato da Carmine Fotia.

La crisi minacciata e stentata, con il suo contorno di accuse di tradimento («Conte mi ha pugnalato alle spalle», ha frignato il Capitano), la fuga dalle aule parlamentari, l’irrilevanza in Europa al momento di votare la nuova presidente della Commissione europea, sono azioni che testimoniano l’inconsistenza della leadership di Salvini, quando il gioco si alza.

Fino a che punto, lo ha raccontato Lucia Annunziata sull’Huffington Post, in un’informatissima analisi da Washington (23 luglio) : «La vicenda dei rapporti Lega/Mosca fuori dall’Italia ha colpito perché segnala alle élites della politica estera occidentale la necessità di fare i conti con il nuovo assetto interno dell’Europa e dei rapporti inter-atlantici… Il rapporto fra Putin e i nazionalisti europei ha finito con il diventare una sfida frontale alla sovranità europea, i nazionalisti visti come la quinta colonna, la “porta di servizio” appunto, attraverso cui la Russia rientra in Europa… È questo l’inizio di un nuovo ruolo della Germania in Europa, una leadership che si schiera contro i sovranisti, che non si nasconde più (anche perché non c’è più spazio per farlo) dietro la funzione tecnica del guardiano di Maastricht? In questo senso, l’asse coltivato in Italia con il presidente del Consiglio Conte sulla trattativa per la procedura di infrazione, andata a buon fine, fa pensare non solo ad una alleanza anti-Salvini, ma anche a un’anticipazione di politiche di alleanze che spaccano i fronti dentro ogni territorio nazionale».

È Angela Merkel a guidare la controffensiva del fronte europeista e democratico, finora sotto schiaffo, assediata dai sovranisti. È stata lei, non un anonimo interrogante parlamentare, a chiedere informazioni su eventuali finanziamenti russi per partiti dell’Unione europea, su cui indaga la procura di Milano.

Intanto, L’Espresso racconta nelle pagine che seguono, con Lirio Abbate e Paolo Biondani, di un prestito da 750mila euro più altri 600mila euro, elargito a scatola chiusa da un banchiere di San Marino al senatore Armando Siri, bancarottiere, sottosegretario alle Infrastrutture nel governo Conte (con il benestare dei 5 Stelle), poi dimesso alla vigilia del voto europeo per l’inchiesta in cui è coinvolto con gli imprenditori dell’eolico e i loro padrini politici.

È un nuovo scandalo che colpisce uno dei personaggi più vicini al ministro dell’Interno, uno dei nomi in vista della “nuova” Lega di Salvini, portato dal vicepremier al tavolo con le parti sociali a illustrare il piano economico del partito e la Flat Tax. È il bancarottiere Siri l’uomo della Salvineconomics. E non è un caso slegato dal Russiagate. Non c’è nessuna distanza tra Siri e Savoini, sul piano politico, al di là dei destini giudiziari. Il partito dei sovranisti è un partito che si inginocchia a una potenza straniera, si propone di fare da portavoce della Russia in Italia e in Europa, si prostra fino al punto di portare il suo leader a Mosca per un intervento di dodici minuti (dodici) in pubblico che giustificano una serata di incontri in segreto .

Il partito di prima gli italiani, quello del popolo, ha tra i suoi principali esponenti un potente furbacchione che in virtù della sua posizione politica ha potuto ottenere un prestito che un cittadino normale, l’italiano qualunque che in buona fede vota per la Lega, non potrebbe neppure sognare.

Se ci fosse l’opposizione politica, di questo si parlerebbe, per costruire un’alternativa: svelare il trasformismo dei 5 Stelle, denunciare l’imbroglio della Lega, il suo doppio volto, scamiciato in piazza e traffichino nel backstage, dove prosperano e si moltiplicano i faccendieri verdi (lo spiega il pezzo di Vittorio Malagutti sull’Espresso).

L’opposizione del Pd è, a quanto pare, occupata in altro, per esempio a litigare sui nomi di chi far intervenire nelle aule parlamentari. Ma c’è uno spazio da esplorare e da costruire per evitare che il paese sia guidato da un premier senza maggioranza, un vicepremier senza più partito e con l’uomo forte, il ministro Salvini, bulimico di esternazioni ma povero di chiarimenti, quando si tratta di spiegare perché la politica della Lega sia rappresentata dai Savoini e dai Siri. Uno spazio che non può essere lasciato all’evanescente ambizione del presidente Conte.

L’ESPRESSO

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