La Tav diventa una pagliacciata
Il senso politico di questa storia è facilmente intuibile (nelle intenzioni), ovvero quello di uno schiaffo (l’ennesimo) ai 5 Stelle: fate quello che volete, tanto l’opera si fa sia se la vostra mozione passa, sia se non passa. Comunque. Ed è un modo per certificare l’inutilità dell’alleato (e del Parlamento), con la stessa protervia di quando è stata snobbata la richiesta, avanzata da Roberto Fico a Matteo Salvini, di riferire in Aula sul Russiagate.
Ce n’è già abbastanza, tornando alla Tav, perché le opposizioni si alzino, se ne vadano facendo mancare il numero legale, dicendo “vedetevela voi”. E perché, nel gioco d’Aula, facciano ciò che suggerisce la logica, svelando la pagliacciata. Se si astengono, succede questo, numeri alla mano: passa la mozione dei 5 Stelle che sono il gruppo più numeroso. E a quel punto va in scena l’incredibile: un partito di maggioranza (la Lega) che vota contro la mozione dell’altro partito di maggioranza (M5S) dicendo che lo fa “perché sull’opera è d’accordo con Conte”, il Parlamento che si pronuncia “politicamente” per il no alla Tav, dunque contro il presidente del Consiglio.
In altri tempi, uno scenario da crisi di governo che magari non ci sarà neanche questa volta, come non c’è stata la settimana scorsa quando sul Russiagate il premier si è trovato a parlare di fronte ai banchi vuoti del suo partito. Ma comunque un fatto politico di prima grandezza, che rende plastica lo stato di crisi di fatto in cui versa il governo.
La portata di questa eventualità in queste ore è avvertita anche da chi è piuttosto indifferente al rapporto politico tra Parlamento, di cui è stata più volte certificata l’inutilità, e Governo. È per questo che il capogruppo pentastellato Stefano Patuanelli ha confidato a qualcuno dei suoi: “Noi alla nostra mozione non possiamo rinunciare, ma se la Lega non ce la boccia assieme a Forza Italia e Fratelli d’Italia è un serio problema politico”. Ecco. Voi capite la situazione: i 5 stelle confidano che, nel gioco d’Aula, Pd e Forza Italia contribuiscano a bocciare la loro mozione, abdicando al ruolo che opposizioni degne di questo nome dovrebbero esercitare: fare politica e, innanzitutto, provare a far cadere un Governo chiedendo a Conte di salire al Colle qualora passasse in Parlamento una mozione contraria alla linea del Governo sulla Tav. Non è invece una speranza peregrina quella di Patuanelli, conoscendo come vanno le cose dentro i gruppi parlamentari del Pd e Forza Italia, che vivono un’eventuale crisi con lo stesso entusiasmo con cui i tacchini vivono il Natale.
In fondo la storia di questa legislatura è anche la storia di un’opposizione compiacente – Forza Italia che più volte è stata indulgente con l’“alleato Salvini”, votando “i provvedimenti che erano nel programma di centrodestra” – e di un’altra opposizione, il Pd, che al Senato è ancora al traino di Renzi, gioiosamente impegnato a “compattare” gli avversari per dimostrare che sono “la stessa cosa” e a dividere il suo partito.
Sia come sia, il senso di tutto questo resta quello di una legislatura che assomiglia a una tela slabbrata, che prosegue senza che nessuno sappia dove realmente vuole andare: senza un vero perché, dicevamo, per andare avanti ma senza neanche un vero perché per interromperla, che non sia la paura di andare a casa da parte chi uscirebbe dimezzato dalle urne. Il delirio sulla Tav, il nuovo rinvio a settembre dell’Autonomia, l’incertezza sul dossier europeo: tutti fili di una tela sfilacciata.
In un’orgia di tatticismo e propaganda, in cui tutto viene risucchiato da una baruffa quotidiana che oramai non fa più titolo, ma non si capisce più quali siano i criteri di decisione e di indirizzo da parte del Governo, come nel caso del commissario europeo, il cui nome ancora non c’è, a due mesi dal voto e a due giorni dall’incontro del premier Giuseppe Conte con la neo-presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen. Perché, in fondo, Salvini si è disinteressato al dossier preferendo incassare un paio di ministri in Italia e coltivare consapevolmente quell’isolamento europeo che gli consente di porsi come estraneo all’Europa “di Macron, della Merkel e dei tecnocrati”. Poco importa se l’Italia incasserà un ruolo di seconda fascia, nel grande isolamento europeo, se questo serve ad ingrassare la bestia del consenso nostrano. Di un po’ di paese, se ne parla un’altra volta.
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