Un Paese, due facce. Perché ora rischiamo di essere retrocessi

La nostra industria medio-grande è anche alle prese con una trasformazione digitale che procede a macchia di leopardo ma che si sta rivelando estremamente impegnativa per i gruppi dirigenti e sta mostrando un deficit di capitale umano sconfortante. Diverso è il tipo di sofferenza del sistema delle Pmi: i dati non segnalano una nuova selezione darwiniana dopo quella del 2008-15 ma il sistema va alla spicciolata. Chi riesce a tenersi agganciato ai grandi sistemi di fornitura ha guadato il fiume, chi è in grado di andare sui mercati esteri da solo viaggia a testa alta, chi invece è costretto nel recinto del mercato interno — la maggioranza — è davanti a un rompicapo per conciliare stasi dei consumi, concorrenza dei prodotti cinesi e l’esigenza (teorica) di migliorare la qualità delle produzioni. Tutti questi percorsi, sommati, non aiutano l’economia italiana a uscire dalla stagnazione, ma anzi segnalano rischi di retrocessione. Difendere settore per settore il vantaggio competitivo italiano in presenza di tante discontinuità tecnologiche e di mercato è una fatica di Sisifo, per i grandi e per i piccoli. Possiamo aggiungere anche che la propensione delle multinazionali a realizzare nuovi investimenti, della taglia di Lamborghini e Philips Morris, sembra essere scemata, vuoi per i problemi più generali dell’economia globale, vuoi anche per il clima non propriamente favorevole che si respira nella politica italiana.

L’Istat ci dice, però, che a fronte delle difficoltà della manifattura un contributo positivo arriva dall’occupazione e dai servizi. Nel primo caso si tratta però di un incremento fatto di part time involontario, sembrano aumentare le teste che lavorano ma non la somma delle ore. Siamo arrivati ai mini jobs senza averlo deciso e proliferano soprattutto nel terziario. Ma, ed è questa la domanda chiave, che tipo di terziario? Ad alta intensità di lavoro ma a basso valore aggiunto: potremmo chiamarlo un terziario mediterraneo fatto di tanta ristorazione fuori casa, affitti via Airbnb, servizi turistici low cost, minimarket, logistica e-commerce, occupazione stagionale, scivolamenti nel sommerso e, in aggiunta, posti statali. Sono in vista, infatti, perlomeno due stock di assunzioni pubbliche con i navigator e il personale docente della scuola. Se volessimo proiettare, pur senza esagerare, tutto ciò in chiave politica potremmo dire che questo modello mediterraneo assomiglia più a Di Maio e alla constituency 5 Stelle che a Salvini principe del Nord (per inciso la mini flat tax per le partite Iva non sta funzionando: -58 mila occupati autonomi in un solo mese). Complessivamente però il rischio che si intravede all’orizzonte riguarda l’intero sistema-Paese che assomiglia a un ascensore in discesa di un piano se non due. Perché la contraddizione tra un Pil stagnante e un’occupazione resiliente ha, purtroppo, un solo possibile esito: il primo che contagia la seconda.

Ps. In questa ricostruzione resta da spiegare Milano e il suo modello di terziario europeo. Ma ci sarà modo e luogo per discuterne.

CORRIERE.IT

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