​Fabrizio Natale: «Io e mio figlio abbracciati abbiamo pianto insieme». Ricorso per la scarcerazione

di Cristiana Mangani

È entrato in carcere nella tarda mattinata di ieri, Fabrizio Natale, il padre di Gabriel Christian, detto Gabe. Dopo il delitto non si erano ancora mai incontrati. E prima di ogni parola, di ogni strategia, c’è stato spazio solo per le lacrime, la commozione, l’abbraccio tra un genitore e un figlio finito in una storia più grande di lui. Il giovane americano compirà 19 anni tra qualche mese, figlio di famiglia agiata, andava all’università prima di finire in galera per concorso in omicidio. I giorni passati dietro le sbarre hanno pesato parecchio su questo ragazzo biondino, esile, dall’aspetto apparentemente mite. E al padre Fabrizio è la prima cosa che dice: «Sono distrutto, sconvolto, papà io non ho fatto niente».

IL RICORSO
Nessuna polemica per quella benda intorno agli occhi e le mani legate dietro la schiena. «Ho fiducia nella giustizia e nei pm italiani», taglia corto Fabrizio Natale senza enfatizzare. Ma quella immagine ripresa prima dell’interrogatorio, che è circolata sulle chat dei carabinieri, avrà un peso – eccome – nella strategia difensiva. Gli avvocati Francesco Petrelli e Fabio Alonzi, che assistono il giovane americano, non commentano in alcun modo. È facile immaginare che stiano preparando un ricorso al Tribunale del riesame, con il quale chiederanno la scarcerazione, o almeno i domiciliari, per il loro assistito. Si intuisce anche dalle parole del padre: «Non mi do pace per quello che è successo – si è sfogato – Siamo molto turbati per la situazione in cui si trova, ma siamo tutti pienamente convinti della sua innocenza».

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