Il problema sono i (non) fatti non gli insulti
Per quanto riguarda la forma si può invece discutere se il linguaggio di Salvini è consono a un ministro degli Interni. Constatiamo però che non è diverso da quello che usano quotidianamente Boris Johnson, neopremier della più antica democrazia del mondo, e Donald Trump, presidente della più grande democrazia del mondo.
A noi, come noto, non dispiace il politicamente scorretto, a patto che non sia fine a se stesso. Mi spiego meglio. Uno dei motivi di successo di Trump è che insulta tutti (giornalisti, minoranze, giudici e avversari politici interni ed esteri) da mattina a sera. Può permetterselo perché è a capo della prima potenza mondiale, autonoma e quindi indifferente a eventuali reazioni e contraccolpi. Ma soprattutto Trump ha risolto davvero alcuni dei problemi degli americani. Con lui economia e salari crescono, l’occupazione vola, le tasse sono diminuite, i benpensanti rosicano ma il cittadino medio era anni che non stava così bene. E per questo motivo il suo «rutto quotidiano» crea più simpatia che sdegno.
Per Salvini è diverso. Non ci preoccupano le sue parole sferzanti bensì il fatto che non sono accompagnate da successi politici: gli immigrati continuano a sbarcare, la crescita è a zero, le aziende sono mediamente in crisi, le tasse salgono, la magistratura continua allegramente a fare il bello e il cattivo tempo.
C’è un modo per abbinare schiettezza popolare e benessere per il popolo? A occhio sì, ed è mollare i Cinque Stelle e mettersi in proprio (o con chi vorrà). Perché, per stare in tema, di questa zingarata (leggi: di questo governo), ne abbiamo avuto a sufficienza.
IL GIORNALE
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