Le parole della politica e la misura perduta

di Giuseppe De Rita

Nella dialettica sociopolitica attuale sta diventando una rarità assoluta quel che viene di solito denominato come «eloquio misurato». Da una parte l’eloquio è stato progressivamente appesantito di valenze teatrali, aggressive, spesso volgari. Ma ancora più pericolosa è la contemporanea scomparsa della «misura» nell’esprimersi: nessuno si sente bravo se non è rapido, incisivo e scioccante, quasi che voglia terminare il messaggio nel più breve tempo possibile, senza preoccuparsi del ritmo e della misura necessari in ogni discorso pubblico. Si potrà giustificare la cosa avvertendo che, in una comunicazione dominata dai social media, l’importante per chi comunica non è ragionare e meno ancora convincere, ma è solo «dichiarare», con la frase di maggiore impatto possibile; senza preoccuparsi per quel che succede poi, basta solo aspettare un’altra incisiva dichiarazione, perché possa attuarsi la nuova moda della politica circolare, parallela della più studiata economia circolare. Il misurato eloquio non ha proprio spazio, anche nelle sedi per esso più tradizionali: così nel discorso parlamentare (per decenni lo strumento principe della stabilità politica) esso è doppiamente superato: fuori dalle aule, dall’efflorescenza smisurata dei social; e dentro le aule, dalle ondate di polemiche fatte col «voi» e a brutto muso.

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