Il patto segreto sul voto
Inutile aggiungere che i contraenti, Salvini e Zingaretti, negheranno anche sotto tortura il Patto segreto, come pure hanno fatto in vita sia Hitler, sia Stalin. La conferma di certe operazioni, infatti, la danno le vittime, non i carnefici. E basta sentirle parlare per non avere dubbi. «È chiaro ha spiegato al suo inner circle Giggino Di Maio che Salvini non avrebbe osato se non avesse un’intesa per il voto anticipato con Zingaretti». Matteo Renzi, addirittura, lo dice alla luce del sole: «C’è un patto scellerato tra Salvini e la segreteria Pd per fare fuori tutti, compresi i miei e me». E l’entente cordiale tra il vice-premier leghista e Zingaretti non sfugge al più presente a se stesso dei forzisti. «Vogliono radere al suolo pure Forza Italia ammette Gianfranco Rotondi , chi di noi si salverà non più di venti dovrà nei fatti abiurare ed indossare la camicia verde». Naturalmente i registi del «patto tra diversi» dicono che le alleanze sottobanco le stanno facendo gli altri. Salvini ha già cominciato: «Sento toni simili tra Renzi e Di Maio: un’alleanza tra Pd e M5s sarebbe inaccettabile». Roba da manuale. In fondo il leader leghista, alla vigilia delle ultime elezioni politiche, denunciava il patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi, mentre trattava in gran segreto ad Ivrea con Casaleggio. Eppoi ad interpretare ora certi atteggiamenti ti accorgi che quell’intesa covava da tempo. A partire dalla sicurezza con cui gli uomini di Zingaretti puntavano sulle elezioni ad ottobre. Franceschini da settimane era pronto a scommetterci la casa. Mentre Domenico Del Rio il 29 agosto confidava: «Scommetto solo che la crisi ci sarà all’inizio dell’autunno o, addirittura, a fine agosto». Lo sapevano, ma non erano sicuri: Salvini l’aveva ventilata come ipotesi. Il vicepremier leghista, infatti, ha tratto il dado quando ha capito che – con la trasformazione in legge della riduzione dei parlamentari il 9 settembre e con la decisione del capo dello Stato, in caso di approvazione, di garantirne la sua attuazione, con referendum annesso, prima di eventuali elezioni – la finestra elettorale sarebbe rimasta chiusa per tutta la primavera prossima. Mandando all’aria i suoi piani.
Così ha dato il via libera alla blitzkrieg. Prima ha tentato di dargli un senso: ha chiesto, riservatamente, a Zingaretti e Berlusconi di fare uscire dall’aula i loro senatori per fare passare la mozione grillina sul «no alla Tav». In quel caso, messo in minoranza da Di Maio, avrebbe avuto una motivazione cristallina per aprire la crisi. Ma il piano è fallito per l’insurrezione di senatori, che hanno fiutato il pericolo di elezioni. E allora ha deciso di metterci la faccia in prima persona, senza ragioni plausibili, visto che aveva incassato il decreto sicurezza bis e aveva battuto i grillini sulla Tav: insomma, ha dato il via al festival del paradosso.
Ora, però, la «guerra lampo» Salvini deve vincerla. E non è ancora detto. Per riuscire, infatti, la blitzkrieg deve essere chiusa in tempi brevi: ieri lo Spread in una giornata è salito di 26 punti. Salvini, che comincia ad aver qualche timore, ha accelerato i suoi piani, presentando al Senato la mozione di sfiducia al governo. Ma per riuscire il vicepremier leghista deve anche dividere le vittime predestinate, impedirgli reazioni e magari lusingarle (puntualmente sono tornate a girare tra i forzisti le liste dei supposti «garantiti» dal leader leghista): in sintesi, deve indebolire gli avversari e tentare di trasformarne i capi in novelli Chamberlain. Salvini, va detto, ha dimostrato di avere «le palle» che Renzi aveva messo in dubbio: ha puntato sulle elezioni avendo solo il 17% dei seggi (in Parlamento i sondaggi servono per darli al gatto, come l’Albertone di Un americano a Roma faceva con la mostarda e il latte). Ora sono gli altri, che debbono essere determinati e spregiudicati quanto lui. «O ci muoviamo sintetizza Pierferdinando Casini o saremo semplici spettatori della cavalcata autoritaria di Salvini». E Renzi ha superato la proverbiale idiosincrasia nei confronti dei grillini: «Bisogna sparigliare».
La battaglia si deciderà sui numeri di Conte al Senato. Il premier, se sarà sempre più «tecnico», può diventare potabile per i tanti che aborriscono il voto. Argomenti ne avrebbe. Può dire che con questa tempistica elettorale (Mattarella non scioglierà prima del 26 agosto), il paese rischia l’esercizio provvisorio e l’aumento dell’Iva: in piena recessione globale sarebbe una mazzata letale. Può dimostrare che, trattando da dimissionario le nomine Ue, l’Italia conterrà nulla nel consesso europeo. Può incitare la cosiddetta «Casta» a dimostrare di essere capace di riformare se stessa, approvando la riduzione dei parlamentari il 9 settembre e rivendicandola di fronte al Paese con un referendum confermativo. E può promettere di accompagnare una simile riforma, che provocherebbe ulteriori impennate maggioritarie nel sistema elettorale, con una legge elettorale proporzionale. Quella che sognava il Cav. Insomma, le vittime designate potrebbero far sentire la loro voce, a meno che la paura non le abbia rese già afone. L’alternativa per loro, però, è quella di non avere un domani. «Se Conte si proponesse così ammette Rotondi lo voterei». «Berlusconi dovrebbe capire che con il proporzionale confida il senatore azzurro Fazzone i nostri seggi li prenderemmo da soli, senza inginocchiarci a Salvini. Semmai dovrà essere lui ad inginocchiarsi di fronte a noi, per trovare i voti in Parlamento se un domani vorrà fare il Premier». Solo che obiettivi del genere li raggiungi solo se hai coraggio (Salvini docet). Quel coraggio che, come diceva Don Abbondio, se non ce l’hai non te lo puoi dare.
IL GIORNALE
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