Perché questa non è solo una normale crisi di governo

di Marco Damilano  

Buone vacanze, ha augurato ai colleghi la presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati, e l’auspicio è risuonato come la battuta finale di un copione avvilente: il suggello della progressiva trasformazione del Parlamento nel set degli Occhi del cuore, la fiction melodrammatica che provano a portare a termine i protagonisti della serie tv cult Boris. Attori narcisisti e inutili, fronti vanamente spaziose, incapacità di leggere e scrivere e fare di conto, come il povero senatore del Movimento 5 Stelle Alberto Airola che scivola sui numeri della Tav, lui che a suo tempo era già caduto su un congiuntivo («se ci trovaressimo»).

Mercoledì 7 agosto è andato in scena l’ultimo atto della legislatura. Caotico e violento. Agitato dalla volontà di Matteo Salvini, dopo oltre due mesi di esitazioni, di recidere il legame con il Movimento 5 Stelle. La Ruspa che distrugge il fragile edificio della maggioranza gialloverde è stata azionata con cinismo e ferocia. Fino a quando, per dichiarare il parere di governo sul voto, insieme al sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento Vincenzo Santangelo (M5S) è intervenuto a sorpresa il leghista Massimo Garavaglia e ha espresso l’indicazione del suo partito, «a favore della Tav e contro chi blocca il Paese», cioè gli alleati del Movimento. È lì, in quel momento, che, al di là dei passaggi formali, il governo del cambiamento presieduto da Giuseppe Conte ha cessato di esistere come soggetto politico.

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