Nicola Zingaretti resiste all’accrocco

Deve aver pensato, il segretario del Pd, che ci vuole davvero una faccia di bronzo a brigare affinché nasca un qualche accrocco con i Cinque Stelle, dopo che per mesi gli stessi che oggi, nel Pd, si adoperano ad evitare il voto ululavano “mai con quelli”. In modo più o meno colorito, minacciando di strappare la tessera nell’eventualità, perché, in fondo, non c’è differenza con la Lega, e “sono due facce dello stesso populismo”. E deve aver pensato che ci vuole altrettanto scarso senso del pudore a proporre, come ha fatto Grillo, un governo – chiamatelo come volete: di scopo, del presidente, insomma la classica soluzione della Casta italiana – per “fermare i barbari”. Ovvero Salvini. Ovvero quello che, fino all’altro ieri era il padrone di un governo che, con la complicità del Movimento di Grillo, la barbarie l’ha prodotta, giorno dopo giorno, provvedimento dopo provvedimento, l’ultimo meno di una settimana fa, quel decreto sicurezza che consente di violare i più basilari principi umanitari e di accoglienza.

Ecco, Zingaretti deve aver pensato tutto questo. E infatti l’ha pensato. C’è tutto un tramestio nel suo partito: il capogruppo al Senato Marcucci che propone un governo di transizione, quello alla Camera che dice “prima di tutto salviamo il paese”. Chi parla, chi cova, chi trama. È, semplicemente, surreale la gigantesca rimozione di ciò che, in questi anni, si è sedimentato a livello profondo nel paese e la disinvoltura tattica giustificata dalla paura di andare al voto. È tutto fin troppo chiaro: Renzi che, al netto delle smentite di circostanza, non dice più “mai con i Cinque Stelle”, perché vuole che la legislatura duri, per avere il tempo di fare un suo partito. E, in ogni caso, alza il prezzo interno: il via libera alle elezioni da ricompensare quando si faranno le liste. Grillo, il Prometeo che ha fatto divampare il fuoco dell’Antipolitica quando l’establishment si arroccò col governo Monti per sterilizzare il barbaro precedente (Berlusconi) che oggi propone un arrocco provvisorio che diventa definitivo: un governo che parte per fare la manovra su due o tre punti – un classico all’italiana – e poi dura tre anni, fino all’elezione del nuovo capo dello Stato, sperando che Salvini si sgonfi (magari con l’aiuto della magistratura) e varando una bella legge proporzionale che lo sterilizzi.

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