Salvini, i tormenti e le conversioni del Capitano
D’altra parte, a chi gli rimprovera di essere sempre in giro, risponde: “Preferivate quelli di prima che stavano sempre chiusi nel Palazzo? Che non si sapeva neanche che faccia avessero? E che non avevano contatto con la gente?”.
Uomo di piazza più che di ufficio, Salvini ha poca voglia di curvarsi sui dossier. E di stare al Viminale non sente punto la necessità. Tanto, le tecnologie gli permettono di controllare la situazione da ogni dove. E poi al ministero ha una squadra di fiducia: i sottosegretari Nicola Molteni e Stefano Candiani e soprattutto Andrea Paganella e Luca Morisi, i due che hanno in mano la Bestia, cioè la macchina di diffusione del Verbo leghista via social.
Se la Lega moltiplica i voti come i pani e i pesci, gran parte del merito è proprio di questi qui della Bestia. Ragazzini che magari mettono in Rete cose pesanti, ma che a vederli sono tutti molto carini e molto perbene, girano sempre in giacca e cravatta che paiono una squadra della Cia in un film di Woody Allen: si muovono in formazione compatta anche quando vanno a pranzo, praticamente ogni giorno, da Maxelâ a Roma, in via delle Coppelle.
Anche Salvini – visto da vicino – è molto diverso dal Truce che dicono. Civile, educato, è uno dei pochi potenti che rispondano al telefono, e che mandino messaggi dicendo buongiorno, grazie, scusi, per favore. È anche più colto di quel che appaia: non che sia un intellettuale (a dirglielo, ti querela) ma è pur sempre uno che ha fatto il classico. Tentò anche l’università, ma si fermò a cinque esami dal traguardo: “Arriverà prima la Padania libera della mia laurea”, pronosticò da studente. Non è arrivata né l’una né l’altra.
E né gli interessa più, la Padania. Da tempo s’è convinto che il problema non sia Roma, ma Bruxelles: e che si debba rifare l’Italia più che fare il Nord. Non è, del resto, l’unica sua conversione. La prima fu quella da comunista padano a leghista bossiano.
Comunista lo era stato un po’ da ragazzo, avendo frequentato il Leonka, cioè il centro sociale Leoncavallo di Milano. “E chi non ha mai frequentato un centro sociale a sedici anni?”, ebbe a dire: e, francamente, verrebbe da rispondergli che l’elenco sarebbe piuttosto lungo. Diventato consigliere comunale leghista nel 1993, a soli vent’anni, quando il suo sindaco Marco Formentini ordinò lo sgombero del Leonka Salvini si rivelò in ogni caso uomo d’onore e di memoria, opponendosi pubblicamente.
Un’altra conversione è quella religiosa. Dicono che questa storia dei rosari sia per prendere voti. Ma si prendono ancora voti con i rosari? Con i segni della croce? Con le processioni? O piuttosto si passa per retrogradi? Per fuori dal mondo? Certo il salvinismo non sembra molto evangelico: ma lui il Vangelo lo cita sovente, anche nei messaggi agli amici via Whatsapp.
Nel suo ufficio al ministero, accanto alla scrivania di Giolitti, ce n’è una ricoperta – appunto – da rosari: molta gente glieli regala. E va a capire. Della sua immagine, d’altra parte, Salvini si cura fino a un certo punto. Non si vergogna ad esempio a farsi vedere con un po’ di pancetta. Mangiare gli piace. La polenta. I pizzoccheri. La Nutella. A Strasburgo si abbuffa dei tremendi gaufres, un impasto di acqua latte farina zucchero uova burro e perfino panna montata. Gli piace anche bere: birra, vino, Braulio. Dicono che a fine pasto sia solito appoggiare una mano sulla pancia emettendo un compiaciuto “ooohhh” di beatitudine; e se è proprio fra amici, aggiunge un “ho mangià cumè un purcell”.
Questo è Salvini: un milanese un po’ démodé, che non va in vacanza alle Maldive e neppure in Sardegna ma a Milano Marittima o a Recco, a Pinzolo o a Bormio o addirittura in un agriturismo di Mantello, provincia di Sondrio.
È sempre stato con la gente, della quale ha intercettato le istanze e qualche volta le flatulenze. Finora gli è andata bene. Ora, forse, la troppa sicurezza l’ha fatto sentire infallibile. È un errore che costò caro anche all’altro Matteo, quello che ora prova a farlo fuori.
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