La carta Draghi che tiene buoni i mercati

Mario Draghi è infatti il sogno di ogni responsabile che ha deciso dal dibattito a Palazzo Madama di provare a dare il suo contributo alla nascita di un Governo di legislatura, leggasi dalle parti di Matteo Salvini, ribaltone. Lo coltivano dalle parti del Pd almeno da un paio danni, a causa della tragica carenza di leadership che affligge il partito. Lo auspicano da un lustro quel che resta dei poteri forti. 
Ma l’ex governatore davvero accetterebbe un incarico così pesante da far tremare i polsi a qualsiasi altro premier? È quanto si chiedono tutti in questo momento, probabilmente dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha iniziato le sue rapide consultazioni, ai capi del Partito Democratico, che nella riserva della nazione, la Banca d’Italia, hanno sempre mostrato di credere molto. Dall’offerta, declinata, ad Antonio Fazio, a guidare un’alleanza di centrosinistra da contrapporre a Silvio Berlusconi, a Carlo Azeglio Ciampi, prima presidente del Consiglio tecnico, poi ministro del Tesoro politico con Prodi, infine presidente della Repubblica, per finire col compianto Fabrizio Saccomanni, numero uno a via XX Settembre nell’esecutivo di Enrico Letta. Via Nazionale da almeno 25 anni ha sempre rappresentato un porto sicuro per chi cercasse di affidarle lavori molto complessi: tipo governare gli italiani durante le crisi finanziarie o le difficoltà politiche. 

Prima di sapere se il presidente della Bce, in uscita ad ottobre, potrebbe essere disponibile a un tale incarico – e chi lo conosce bene sa che lo rifugge nella maniera più assoluta e solo un forte pressing del Colle potrebbe fargli cambiare idea – c’è da chiedersi però perché gli eredi del Partito Comunista e della Democrazia Cristiana, siano sempre alla ricerca di un papa straniero. Come se loro, oltre a non intercettare più le esigenze dell’elettorato di riferimento, non fossero nemmeno in grado di capire le istanze della società. Eppure il programma da affrontare con un Governo di legislatura, che nasca per evitare l’immediato ricorso alle urne, è abbastanza chiaro.  

Bisogna salvare 250.000 posti di lavoro a rischio per quasi 160 crisi aziendali ancora aperte. Occorre trovare le risorse per coprire maggiori interessi da pagare per oltre 5 miliardi di euro tra il 2019 e il 2020 a causa dello spread, che si aggiungono ai 23 da rinvenire per evitare con la prossima legge di bilancio l’aumento dell’Iva. Servono misure che mettano in sicurezza il quadro congiunturale, vista la frenata dell’economia dell’Eurozona e il piano monstre da 50 miliardi di euro che si sta valutando in Germania per far ripartire la locomotiva d’Europa. Altri interventi potrebbero servire qualora diventassero realtà i dazi minacciati da Donald Trump e la Brexit. 

Per varare un esecutivo che affronti tutti questi temi, non basta però una figura molto autorevole come quella di Draghi, cui un po’ tutti si appellano. È troppo facile chiamare il più bravo di tutti. Serve invece coraggio politico. Il coraggio di fare scelte decise, di varare una manovra che magari cancelli il reddito di cittadinanza e Quota 100 intanto per bloccare l’aumento dell’Iva. Il coraggio di sbloccare la Tav per davvero e la miriade di opere pubbliche. Il coraggio di dare la caccia all’evasione fiscale che ogni anno ingigantisce il debito pubblico. Il coraggio di aumentare i fondi destinati all’istruzione. Se manca tutto questo, come è mancato al Governo del cambiamento, Pd e M5S si convincano a mettere nel cassetto ogni proposito di alleanza, perché le urne saranno la via migliore per una grande operazione di chiarezza. Anche in autunno, anche tra qualche mese.

I mercati non temono l’azzardo, puniscono l’incapacità e l’instabilità politica. Si trovi un esecutivo che conduca il paese a nuove elezioni, non possiamo aver paura di questo, la carta Draghi è solo un alibi per coprire tante incapacità.

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