Zingaretti ci ripensi, punti solo alle elezioni

Sun Tzu, autore de “L’arte della guerra”, scriveva: “una tattica senza strategia già profuma di sconfitta”. E noi, in Italia, ha detto Arrigo Sacchi, allenatore di calcio pensante, abbiamo tanti tattici e pochi strateghi. Lo potremmo dire del capitano Salvini, che tutti gli opinionisti dicono essere uscito, dalla crisi, con le ossa rotte. Da pugile suonato. Lo fu in passato Renzi, dimissioni e ricandidature a getto continuo, quando ancora non aveva letto Sun Tzu.

Speravo che Zingaretti avesse fatto suo quell’invito che io, modestamente, gli rivolsi appena conquistò la segreteria del Pd. Faccia il leader. Disponga. E decida. Allo sprezzo del pericolo. Nel frattempo se ne uscì con alcune castronerie fuori tempo, come il noi al posto dell’io, il contrasto della visione dell’uomo solo al comando.

Purtroppo visto l’esito della direzione del Pd odierna ha cucito per l’ennesima volta un abitino delle mezze misure. Dell’anche veltroniano. Timoroso e dubbioso delle sue capacità e delle sue forze. Con quell’ossessione che è diventata la precondizione di ogni suo ragionamento: l’unità del Pd.

Il presidente della Regione Lazio, in direzione, avrebbe dovuto presentare una sola strada: il voto. L’opzione di andare a vedere quello che dicono dalle parti dei 5 Stelle su 5 punti è inutile perché l’offerta, appunto, della strategia (il futuro del Paese) è imbevuta nella disperazione dei grillini. Non vorrei che il Pd avesse preso il virus della disperazione e si immolasse in un calembour governativo con annesso il Vietnam dello scacco renziano in corso d’opera.

L’occasione per Zingaretti, che appunto deve iniziare a comportarsi da leader, è costruire finalmente il suo Pd, di cui anche noi osservatori esterni siamo così curiosi da tastare che fa, che vuole, come si muove, con quali uomini. Capisco l’angoscia dell’appuntamento del 2022 per l’elezione del Presidente della Repubblica. Ma la composizione del prossimo Parlamento è da giocarsela.

Le condizioni generali non danno per certa la marcia trionfale della Lega. E comunque non siamo sicuri che si elegga più agevolmente un candidato con queste Camere, molto divise all’interno dei singoli gruppi parlamentari, dal Pd a Forza Italia ai 5 Stelle.

Quale migliore situazione è quella corrente, per convincere gli italiani a un’alternativa. Si tratta di vedere se, con tattica e strategia, il Pd e il suo “leader” sono in grado di farlo. Senza nascondersi nell’effetto di una dissolvenza con un governo su 5 punti vaghi (c’è la green economy, ampiamente dettagliata anche da Conte nel suo discorso al Senato con una dissertazione, fuori contesto, sui benefici dell’eolico: solo pura coincidenza?), camouflage, che non possono bastare di fronte a un’attività politica che soprattutto è quotidiana. E i 5 Stelle (come i piddini, d’altronde) sono divisi in mille rivoli, ora caricati di rancori, carriere mancate, altre dissolte che farebbero traballare a ogni piè sospinto la maggioranza.

E poi, quali benefici attirerebbero a sé, Pd e 5 Stelle, nella revisione totale del decreto Sicurezza, accentuando e certificando un fronte anti-Salvini che porterebbe solo vantaggi alla causa del leader leghista? Come dice Paolo Bonolis nel corso di un’intervista a la Repubblica, bisogna spostare l’asse attentivo, “se non gira l’asse verso i cittadini e non verso se stessi, la politica non va da nessuna parte. Prima o poi la gente se ne accorge”. 

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