Che cosa vuole davvero Di Maio? Le strategie sulla premiership
L’unica frase che si riesce a scucire a Luigi Di Maio è un classico della retorica 5 Stelle, e non solo: «Per noi contano i temi e non le poltrone». Naturalmente è proprio sulle poltrone, invece, lo scontro più duro. Sui temi ci siamo, o quasi. Il Pd ha già fatto sapere che è pronto al taglio dei parlamentari a settembre e a convergere sulle altre riforme, purché si proceda alla modifica della legge elettorale in chiave proporzionale.
Le faglie in Pd e M5S
La
vera partita si gioca sulla poltrona più alta di Palazzo Chigi. Chi
sarà il premier del nuovo governo, se mai vedrà la luce? Di Maio insiste
per Giuseppe Conte, promosso tra gli «elevati» da Beppe Grillo. Ma il
Pd non lo vuole. E qui le cose si complicano. Perché se nel Pd c’è una
faglia che attraversa il livello decisionale, da una parte Nicola
Zingaretti, dall’altra Matteo Renzi, nel Movimento si sta creando un
doppio binario, con diversi scambi inceppati: da una parte Beppe Grillo,
che preme per un governo con il Pd (ma che insistendo su Conte rischia
di farlo naufragare), dall’altra Davide Casaleggio, che non pare così
convinto.
Quel che è certo è che il nome di Conte viene rivendicato
ancora con forza. Di Maio sembra allineato. L’unico modo per toglierlo
di mezzo, che non sia il cedimento del Pd o del Movimento, sarebbe un
passo indietro. Che lo proietterebbe nei cieli di Bruxelles e darebbe
una spinta decisiva al governo. Ma questo passo non sembra volerlo fare.
La staffetta a sinistra
Dopo Conte, si pensava che potesse essere proprio Di Maio il nome da proporre nella premiership. Nome che, naturalmente, il capo politico 5 Stelle apprezza molto, ma che il Pd non vuole. Se il veto fosse inflessibile, Di Maio potrebbe giocare un’altra carta politica: Roberto Fico. Figura che sarebbe gradita al Pd e che sarebbe decisamente la più naturale, per un governo dem-5 Stelle. Ma a contrastare quest’ipotesi, ci sono le voci di un possibile niet di Di Maio, che non gradirebbe una staffetta così plateale, equivalente a una sconfessione del percorso e del leader precedente.
Il voto online e la base
Esaurite le carte politiche, a Di Maio resterebbero quelle tecniche. Servirebbe una figura che incarni un profilo simile a quello di Conte. Un tecnico d’area 5 Stelle, ma non sgradito al Pd. Nel mazzo delle figure istituzionali, il parterre non è ricchissimo. Anche perché dev’essere una figura autorevole ma duttile, in grado di non deludere i desiderata dei 5 Stelle e Pd. Da giorni si fa il nome di Raffaele Cantone, presidente dell’Anticorruzione fino a luglio, quando lasciò in polemica con Salvini. In alternativa, si parla di Enrico Giovannini, ex presidente dell’Istat. A rigore, si potrebbe pensare che insistere su Conte sia solo un modo per far fallire la trattativa con il Pd. Ed è quello che pensano molti fichiani. Ma c’è un dato, evidenziato dai 5 Stelle: «Se mettessimo su Rousseau l’ipotesi di accordo con il nome di un premier, non passerebbe mai. A meno che non ci sia Conte». Non che glielo abbia ordinato il medico ai 5 Stelle, di votare su Rousseau. È una scelta politica. Ma non votare potrebbe scatenare la rabbia della base. E allora, nel cul de sac, si compulsano i sondaggi. L’ultimo, di Tecnè, dà i 5 Stelle al 20,8 per cento. Tre punti in più rispetto alle Europee, ma ben 12 meno rispetto alle Politiche 2018.
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