“Se ci propongono Fico non diciamo di no”

Siamo al dunque, al punto di snodo. Anche perché chi ha una certa consuetudine col Colle ha capito che lassù vorrebbero avere un quadro più chiaro già nella giornata di lunedì, prima di decidere il calendario delle consultazioni. Ormai è chiaro: o governo o mercoledì si scioglie, oltre non si può andare con un calendario che già ora prefigura le urne il 10 novembre. Dicevamo, siamo al dunque. La “mossa” Fico matura dall’osservazione degli eventi. E dal modo di fare un po’ furbesco dell’interlocutore. Di Maio, dopo l’incontro di ieri, è praticamente sparito. Anche le parole del premier, con tutto il corredo di pochette, pose, costruzione mediatica e spin dei suoi abili comunicatori, è apparsa carica di ambiguità. Ha chiuso, diciamo così, al forno con la Lega, con una certa autoindulgenza, anzi con quel “non rinnego quanto fatto in questo anno” che non è proprio una dichiarazione da applausi. È un po’ l’ossimoro di chi si propone a sinistra rivendicando i provvedimenti più di destra degli ultimi vent’anni. Poi l’avvocato del popolo si è platealmente offerto al Pd, col consueto schema, tipico dei trasformisti, di far finta di mettersi da parte, perché ora è importante “il progetto riformatore”.

 È chiaro che è in atto nel Movimento tutto un gioco di costruzione politica attorno a Conte, al tempo stesso carta per il governo e unico leader spendibile per i Cinque stelle in caso di elezioni. Gioco confermato dallo spin sulla sua insostituibilità dentro il Movimento, perché l’unico capace di tenerlo assieme: “Solo lui è in grado di passare all’esame della piattaforma Rousseau, facendo digerire il governo col Pd”. Il Movimento non è né una testuggine, né un monolite, hanno capito bene dentro al Pd. E, in alcuni momenti, l’interlocutore è incomprensibile: “Uno scompare, Fico si propone, di fatto, con una dichiarazione dalla spiaggia, altri ci dicono che Grillo avanzerà una sua proposta”, così sintetizzano la giornata gli sherpa del segretario. L’unica cosa certa, lì dento, è il terrore del voto che si materializzerà nei sondaggi di domani, col Movimento attorno al dieci per cento, o poco più.

 In questa confusione, la giornata registra un’iniziativa del Pd, sia pur per ora sottotraccia. Per uscire da questo tormentone su Conte che paralizza il dibattito da giorni: “La parola d’ordine – è il ragionamento che fanno al Nazareno – è rispetto reciproco. Noi offriamo rispetto, loro devono darci rispetto”. Insomma, per dirla in modo un po’ tranchant, il Pd fa sapere che è legittimo che il primo partito del Parlamento indichi il premier, purché non sia l’attuale. I maligni hanno suggerito a Zingaretti di avanzare lui la grande offerta al presidente della Camera, consapevoli dell’inferno che scatenerebbe dentro il Movimento. In fondo, se conte si sta accreditando sull’elettorato del Pd facendo quello di sinistra, ci sta pure che il Pd renda pubblico il suo via libera al presidente della Camera, uomo di sinistra, corretto nell’interpretare il suo ruolo, con un grande seguito tra i parlamentari. Per ora Zingaretti ha fatto sapere che, per attestare la serietà della disponibilità, non è il momento delle interviste e delle dichiarazioni. Tocca a Di Maio, che continua a non parlare pur essendo un tipo solitamente ciarliero. Quelle parole “disponibili al confronto col Pd” ancora non le pronuncia. In sintesi: se avanza Fico, il governo si fa in un minuto; se propone un altro nome si ragiona; se resta su Conte, si vota.

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