Una fase politica dai territori sconosciuti

È possibile dunque che l’evocazione della «piazza» fatta da settori della destra sia frutto solo della frustrazione di chi, dopo avere sognato il voto anticipato, si ritrova a fare i conti con la realtà dei numeri parlamentari e dei principi costituzionali; e a leccarsi le ferite dolorose che si è autoinferto. È chiaro, tuttavia, che molto dipenderà dalla credibilità e dallo spessore della maggioranza nascente tra Cinque Stelle e Pd, dalla qualità dei ministri e dalla capacità di evitare uno sbilanciamento demagogico, stavolta a sinistra.

A Palazzo Chigi siederà ancora un neofita della politica che però in quattordici mesi ha mostrato doti sorprendenti di navigazione e mediazione. Conte presiederà una coalizione che non si potrà nascondere dietro elastiche e ipocrite clausole contrattuali. Sarà chiamata non a sommare e elidere politiche e visioni opposte della società, come tra Cinque Stelle e Lega, ma a tentare di amalgamarle: anche qui, più facile a dirsi che a farsi. Per questo, la fase che si apre attraversa un territorio sconosciuto a ogni singolo protagonista.

Lo è per il premier, il segretario del Pd Nicola Zingaretti e il suo partito, e per la nomenklatura grillina pilotata affannosamente da Luigi Di Maio. Sarebbe ipocrita negare che in ampi settori dell’opinione pubblica l’esperimento nasce con i contorni di un’operazione trasformistica. Il M5S ha involontariamente accreditato questa lettura, tentando di riaffermare una traballante centralità con la pretesa di «sostituire» la Lega con la sinistra; e riproponendo una consultazione sulla «piattaforma Rousseau» per certificare o sabotare l’eventuale accordo: una scelta fuori tempo massimo almeno dal punto di vista della Costituzione.

E hanno contribuito alle accuse di opportunismo i dirigenti dem passati in pochi giorni da minacce di scissione in caso di dialogo con i grillini, a un subitaneo abbraccio di potere. Ci si trova dunque davanti a una sfida che rischia di rivelarsi, per tutti, un azzardo. Ma l’epilogo che si sta delineando dice quanto siano inadeguate le categorie dell’ultimo anno e mezzo per definire una traiettoria da costruirsi ex novo. L’urgenza della manovra finanziaria ha imposto tempi stretti che il Quirinale ha chiesto all’intero schieramento politico. Era l’unico modo per impedire trattative sfibranti e manovre come quelle che andarono avanti per due mesi dopo le Politiche del 2018, portando al «contratto» Di Maio-Salvini.

Pericolo maggiore, il ritardo avrebbe esposto l’Italia alla speculazione finanziaria e all’isolamento, oltre che all’incertezza. L’esigenza di fare presto rende embrionale e dunque da definire il patto che sta prendendo corpo. Anche perché all’interno dei Cinque Stelle, del Pd, della Lega, del resto del centrodestra, potrebbero partire o maturare dinamiche tali da restituire un sistema profondamente modificato. Sarebbe un’ulteriore spinta alla frantumazione degli interessi, che una riforma elettorale di tipo proporzionale fotograferebbe.

Eppure, un nuovo governo Conte potrà avere un forte impatto positivo a livello internazionale. Con equilibri europei in incubazione, l’Italia si ripropone come una vera interlocutrice e non una potenziale guastatrice. Significa che la Commissione e i nostri alleati saranno più attenti e disponibili davanti ad alcune richieste di Roma: sulla flessibilità e le politiche per l’immigrazione. Il vero antidoto a un populismo declinato in termini di scontro e di antieuropeismo può venire da qui. Senza la tentazione di cercare alibi e capri espiatori, o di offrirli a avversari esasperati; e senza allearsi col retropensiero di destabilizzare l’esecutivo di qui a pochi mesi.

CORRIERE.IT

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