Le larghissime intese di Giuseppe Conte, l’uomo che piace a tutti. Forse a troppi
Dunque, ciascun pezzetto di legno dritto verso il “Contebis”, in cima al trend di Twitter già da dopo il 20 agosto – nonostante il solito Casalino avrebbe optato da subito per l’opzione “Conte 2”. Tutto sommato si ha ormai la sensazione che di Conte se ne potrebbero produrre a ripetizione, ognuno buono a formare un qualsiasi, ulteriore governo. Con la Lega. Col Pd. Con Berlusconi. Con Meloni. Con Vendola, persino. Per lo meno fino al ritorno del mago che – se c’è – metta fine all’incantesimo, atterri gli apprendisti. Eviti l’allagamento del Paese intero.
Non che Conte faccia tutto da solo, anzi. È in ottima compagnia. Come se nel cammino gli si fosse avvitato attorno un turbine, che lo sospinge avanti. Una specie di silenzioso partito delle scope, che punta su di lui. Non tanto per una qualità specifica dell’uomo, quanto di certo per sostanziale assenza di alternative.
Operazione rossotrump, la copertina dell’Espresso in edicola da domenica 1 settembre
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TRUMP E GLI USA
Il primo fra i suoi sostenitori, il presidente Usa Donald Trump, sembra
un punto incassato giocando in trasferta sul terreno leghista. Il capo
mondiale dei populisti, da americano, invece che su Salvini ha puntato
su «Giuseppi» molto prima di digitare il tweet in suo esplicito sostegno
e di concedergli dieci minuti di colloquio-passerella. Anche
l’avvicinamento a lui da parte dell’avvocato del popolo è lungo. A fine
luglio, nel suo intervento conclusivo alla Conferenza degli Ambasciatori
alla Farnesina, in perfetta continuità con la linea del Quirinale aveva
sottolineato la non-equivicinanza dell’Italia rispetto a Washington e
Mosca. Dicendo come «il nostro rapporto con gli Stati Uniti rimane
qualitativamente diverso da quello che abbiamo con altre potenze, perché
si fonda innanzitutto su valori e principi condivisi, che sono il
fondamento stesso della Repubblica e che sono parte integrante della
nostra Costituzione: la sovranità democratica, la libertà e
l’uguaglianza dei cittadini, la tutela dei diritti fondamentali della
persona». Buoni rapporti con i russi, ma atlantismo a tutto spiano. «I
nostri caposaldi sono l’atlantismo e l’europeismo», ha detto poi al
Senato il 20 agosto. Molta strada è stata fatta dall’ormai lontano G7 in
Canada del giugno 2018, dove Conte arrivò giusto dopo una settimana da
premier e qualche balbettìo pro-Mosca. Proprio in Canada, invece,
cominciò a fare ciao ciao con la manina a Trump, a non togliergli mai
gli occhi di dosso, ossessivamente, fino a riuscire a farsi notare. E
quando The Donald lo definì «fantastic» in una intervista a Fox news, il
Fatto poté scrivere che «Conte è rimasto fuori dalla foto simbolo del
G7 solo perché era accanto a Trump, fuori dall’obiettivo». Urrà.
Il Conte Vecchio e il Conte Nuovo hanno una sola coerenza: lui
Avvocato del popolo e premier senza popolo, sovranista con Salvini, direttista con la Casaleggio, europeista con la Merkel, putiniano con Putin, trumpiano con Trump. Ora diventa ottimista, ecologista e vagamente socialista. Come da tradizione italiana
DALLA GERMANIA CON FURORE
Con Angela Merkel la danza d’avvicinamento è consistita in modi felpati,
baciamano, multilinguismo. Conte ha fatto come gli consigliava via
interviste anche professor Giulio Sapelli: riavvicinare l’Italia alla
Germania. Scambi di battute, caffè, succhi di frutta, brevi incontri,
pazienza. Fino alla notturna con birra, intorno al tavolo con gli altri
leader europei quando c’era da decidere il nome del presidente Ue.
Passando per il fuorionda trasmesso a Piazzapulita. Quando, in una pausa
del vertice di Davos di fine gennaio, parlando dell’Italia Conte aveva
rassicurato la cancelliera tedesca circa la vicinanza dei Cinque Stelle e
la generale capacità di tenerli tutti a bada, Salvini in testa: «La mia
forza è che se io dico “Ora la smettiamo!”, loro non litigano».
MODELLO URSULA
Atlantismo ed europeismo. Dopo l’attenta manovra che ha portato anche i
Cinque Stelle (col supporto di Conte) a votare per la neopresidente
della commissione europea, nella sua visita a Roma alla vigilia dello
scoppio della crisi di governo, Ursula von der Leyen si era profusa in
complimenti e aveva espresso una perfetta sintonia con il premier
italiano. Ben tre tweet dedicati alla visita, quello conclusivo con
allegato selfie in sua compagnia e, tra di loro, il busto in marmo di De
Gasperi. «Un grande scambio di vedute con Giuseppe Conte, su
competitività, immigrazione, crescita economica, innovazione e lavoro.
L’Europa ha bisogno dell’Italia e dello spirito di Alcide De Gasperi»,
era il trionfo finale, con tanto di bandierine. Anche il presidente del
consiglio europeo, Donald Tusk, è stato scintillante: «Conte è uno dei
migliori esempi di lealtà in Europa. Su si lui posso dire solo cose
positive». Tanta strada fatta, anche qui: «Ha un nome facile da
ricordare», si era sperticato Tusk un anno fa.
STILE VATICANO
Discreta, ma evidente, la posizione della Chiesa. A giugno, quando
sull’aereo di ritorno dalla Romania gli fu chiesto se avesse mai
rifiutato di incontrare Salvini, che lo aveva sfidato a colpi di
rosario, papa Bergoglio precisò che il ministro dell’Interno non aveva
chiesto l’udienza. Elogiò, al contrario, proprio Conte. A suo tempo il
premier invece l’aveva chiesta e ottenuta. Con soddisfazione reciproca:
«Quella è stata una bella udienza, un’ora e più. È un uomo intelligente,
un professore, sa di cosa parla», aveva sottolineato il Pontefice.
Un accadimento, quel colloquio, che Conte aveva a suo tempo diffuso ai
quattro venti e ovviamente anche resocontato in un post su Facebook, nel
quale in modo un po’ sgraziato parlava del «rispettivo impegno che
stiamo portando avanti per realizzare, ciascuno nell’ambito delle
proprie competenze, un ampio disegno riformatore della comunità in cui
operiamo». Ognuno nel suo ambito: Conte, ma anche il papa. Il premier,
fra parentesi, l’aveva già incontrato nel 2016, a Villa Nazareth, il
collegio dove s’era svezzato ai riti della romanità. Non solo. Nei
giorni in cui ancora vigeva il veto sull’avvocato del popolo, è stato il
cardinale Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi, a far conoscere
al segretario del Pd Nicola Zingaretti il suo appoggio a un nuovo
governo, per evitare le elezioni anticipate e mettere Salvini in
minoranza. Una perorazione avanzata pubblicamente anche a Rimini,
durante il Meeting di Comunione e liberazione, una settimana prima.
TRAVAGLIO, FERRARA E COMPANY
Potevano mancare i giornalisti tra gli sponsor? Non potevano. Ed ecco,
in inedita accoppiata, Giuliano Ferrara e Marco Travaglio. Precoci e
sfegatati. Il direttore del Fatto soprattutto. Il quale, in un impeto di
soddisfazione, nei giorni scorsi ha deciso di arrendersi all’evidenza:
«Noi che siamo gente semplice, ci orientiamo con quattro bussole, che
non ci hanno mai tradito», ha esordito nel suo editoriale il 28 agosto,
proseguendo così: «…La quarta è Giuliano Ferrara: se sposa un governo,
disastro assicurato», ma «purtroppo» stavolta c’è anche lui, che
«stravede per il Conte 2. Ma non si può avere tutto dalla vita».
Pazienza. Notevoli vette le raggiunge anche il Corriere della Sera. Il
quale, pur di iscriversi tra i sostenitori, e raccontare tutte le «mosse
azzeccate» dell’avvocato del popolo che «non ne ha sbagliato una»,
arriva a descrivere scenari degni di un miraggio nel deserto: ad esempio
quello di un premier talmente ossessionato dalla riservatezza da
arrivare, addirittura «per giorni», «a non fare mai una telefonata,
mandare un messaggio, cercare un aggancio esplicito ora con il Pd, ora
con i Cinque Stelle», al punto da essere «quasi all’oscuro
dell’evoluzione» della trattativa; ma capace ugualmente di trovarsi per
magia, di punto in bianco, rappresentante dei Cinque Stelle, non più
confinato nel ruolo terzo che aveva prima.
RENZI E IL PREMIER INDEGNO
Tutto cambia, del resto. Persino l’ex più fiero avversario dem alla
alleanza coi Cinque Stelle, ha rivisto tutto. In un solo pomeriggio di
maggio, in campagna elettorale con Calenda, Matteo Renzi non aveva
lasciato in piedi un sol brandello del premier. «Non solo non è degno di
essere presidente del consiglio. Non è degno di essere professore di
diritto», «sta svilendo il suo ruolo», «non sa di cosa parla». «è un
disastro», dal Russiagate alla Libia, un dossier sul quale «Conte ha
organizzato un vertice fasullo a Palermo solo per farsi i selfie con
Haftar e Serraj da dare a Rocco Casalino per poi rilanciarli sui social
coi troll e i profili finti». Rimarchevole la distanza con l’oggi, non
c’è che dire.
Del resto, appena superato il momento di sbigottimento dovuto all’avvio
delle consultazioni, già nel primo weekend dopo Ferragosto sono arrivati
i rinforzi. Dalla sinistra radicale, che in sostanza trova i Cinque
stelle abbiano già dimostrato con la Lega di essere abbastanza
malleabili da farsi mettere i piedi in testa (vi è in questo caso il
tema di una sinistra che si sente come Salvini, ma è tutto un altro
problema). È accorso subito anche il segretario della Cgil Maurizio
Landini a sottolineare come con Conte, che ha riaperto i tavoli con le
parti sociali, ci si possa trovare parecchio bene: «Un uomo dal coraggio
politico e dal profilo istituzionale importante», ha detto addirittura.
Non altrettanto sperticato Vincenzo Boccia, preoccupato più che altro
della «stagnazione in agguato» e della necessità di fare un nuovo
governo.
Mentre l’ex premier Romano Prodi ricorda allarmato che l’Italia non può
cincischiare (indicazione diretta a fugare i dubbi del segretario dem
Zingaretti), uno slancio discreto è arrivato dritto pure dal Quirinale.
Con la tempistica, anzitutto, che ha favorito l’approfondirsi del
dialogo tra dem e Cinque stelle. Ma anche con i tweet: vedasi quello di
Pierluigi Castagnetti, amico personale del presidente Mattarella, che
invitava il segretario Zingaretti a non impiccarsi ai nomi.
Del resto Conte si è collocato per tempo sotto le ali del Colle: quando gli è arrivato l’avviso di sfratto da Salvini, è andato dritto dal capo dello Stato, non si è dimesso, e nella crisi si è proposto come sacerdote. Esecutore stavolta della legalità costituzionale. Conte, in fondo, rappresenta e incarna il disegno che si presentava già dell’inizio legislatura. Quello di costituzionalizzare i Cinque stelle: tramite lui, a questo punto. Per questo Castagnetti lo paragona, fatte le dovute proporzioni, ad Andreotti. Nell’attesa che l’incantesimo delle scope finisca.
L’ESPRESSO
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