Governo, strappo di Di Maio ma Conte va avanti: «Decido io»
Più passano i giorni e più il vicepremier grillino teme di risultare meno centrale. Al punto che anche molti ministri uscenti assediano palazzo Chigi per avere rassicurazioni sul proprio futuro. Ma a scalfire la già traballante leadership di Di Maio non è solo il nuovo passo imposto da Conte, ma anche la necessità che ha il Pd di Zingaretti di incassare in qualche modo quella «discontinuità» non ottenuta con l’incarico a Conte. Ottenere confermata la carica di vice presidente del Consiglio, dopo averla spuntata sul nome del premier, permetterebbe a Di Maio di mostrare come la sua leadership non è scalfita. L’obiettivo è continuare ad avere presa sul Movimento e sui gruppi parlamentari che dovranno contribuire ad una navigazione tranquilla dell’esecutivo senza essere tentati dalle sirene leghiste.
I dem però non ci stanno a considerare Conte un premier terzo, anche se gli uomini vicini a Di Maio continuano a sottolineare che Conte non è iscritto al Movimento. Ufficialmente al Nazareno restano compatti sulla linea del segretario e del presidente del partito. Paolo Gentiloni, è tra i più convinti della necessità di avere un unico vicepremier. Ma del Pd e non certo Di Maio. Forte dell’alta percentuale di fiducia che anche ieri gli ha assegnato un sondaggio di Piepoli (terzo dopo Mattarella e Conte), Gentiloni frena l’ala renziana – più possibilista nei confronti di Di Maio vicepremier – e anche i dem vicini a Franceschini che non sottovalutano il problema della tenuta della futura maggioranza.
Ieri pomeriggio l’ex ministro dei Beni Culturali ha incontrato Conte insieme ad Andrea Orlando e ai capigruppo M5S Patuanelli e D’Uva. Tema dell’incontro il programma del nuovo governo, anche se al Nazareno si sostiene che il presidente del Consiglio abbia dato rassicurazioni sulla questione del vice. Anche se Conte sembra propendere per l’azzeramento della carica – e su un sottosegretario alla presidenza del Consiglio di sua stretta fiducia – è molto difficile che possa dare anticipazioni sulla lista dei ministri prima della salita al Quirinale. Il motto del premier, tratto dall’articolo 92 della Costituzione, è: «Voi proponete, io decido». Una linea che, a tutti gli effetti, introduce il meccanismo della rosa. Ovvero ricevere dai partiti nomi e desiderata e poi incastrare le tessere del puzzle concordando con il Quirinale alcuni profili per i ministeri più delicati.
Nei colloqui avuti nei giorni scorsi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è guardato bene dal farsi tirar dentro la vicenda dei vicepremier. Il nodo dovrà quindi essere sciolto da Conte che però ha molte carte da giocare per accontentare – e al tempo stesso scontentare – ora il M5S, ora il Pd. Tenendo sempre presente che in maggioranza non ci sono solo i due partiti più numerosi in Parlamento, ma anche la sinistra di Leu, i socialisti di Nencini, i due gruppi misti di Camera e Senato e, forse, anche +Europa di Emma Bonino.
Pur in assenza di rassicurazioni, che Conte non dà né al M5S né al Pd, Di Maio ha interesse a mantenere alta la tensione sul nodo. Evocando il rischio che si possa ancora finire con il voto anticipato, Di Maio ha voluto sottolineare che considera la partita tutt’altro che chiusa – sulle poltrone come sul programma – e che la sua leadership è ancora in grado di poter mettere in dubbio persino la nascita del governo o un possibile ritorno con la Lega. Tatticismi che servono a contenere il Pd, ma soprattutto a dare un segnale a Conte che dovrà decidere e a parlamentari e iscritti in vista di quel referendum sulla piattaforma Rousseau.
Tra lunedì e martedì dovrebbe esserci il voto sulla piattaforma grillina. A Di Maio servono rassicurazioni sul suo ruolo nel governo. Se riuscirà a spuntarla, toccherà anche al Pd dare un nome per la carica di vicepresidente. Se alla fine toccherà al Pd piegare la testa – salvo ottenere compensazioni su altre deleghe – toccherà probabilmente ad Andrea Orlando cimentarsi nel ruolo di vice e, quindi, di capodelegazione del Pd nel governo. Resterà poi da vedere se basterà una targhetta sulla porta per continuare a guidare un Movimento che tenta di cambiare alleato e programmi senza mutare leadership. Sinora nessun partito, Dc compresa, c’è mai riuscito.
IL MESSAGGERO
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