Quante ipocrisie. Sì, parliamo di poltrone
di MICHELE BRAMBILLA
Una delle cose più esilaranti di questi giorni è stato il ritornello “noi parliamo di programmi, non di poltrone”. Di Maio e i suoi questo concetto lo hanno ripetuto più e più volte: anche ieri mattina, anche ieri sera. Secondo i Cinque Stelle, dall’inizio della trattativa in poi s’è sempre pensato all’Italia e ai cittadini: mai ai nomi dei possibili ministri. Non ci crede nessuno. Ma mettiamo che sia vero.
Se fosse vero, non sarebbe esilarante: sarebbe deprimente. Perché sarebbe una follia più grave della bugia. Non parlare di poltrone significherebbe infatti non parlare di nomi; non parlare di nomi, significherebbe non parlare di persone; non parlare di persone, significherebbe non parlare di competenze, di capacità, di doti, di preparazione. Ma che governo sarebbe un governo con un magnifico programma, ma con degli imbecilli – o anche solo dei mediocri – chiamati a tradurre le idee in realtà? Sarebbe come se in questi giorni di calciomercato gli allenatori avessero detto ai propri direttori sportivi: non mi importa quali giocatori mi comperate o mi vendete, quel che conta è che giocherò con il 4-3-3, o forse è meglio il 3-5-2.
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