Forza e debolezza di un’alleanza
Entrambi i partiti hanno messo da parte i combattenti della guerra precedente: i Cinquestelle epurando cinque ministri del Conte 1, una «purga»; il Pd non confermando nessun ministro dei governi Gentiloni e Renzi, tranne appunto Franceschini. La discontinuità è evidente, forse anche l’inesperienza. Il Viminale è stato demilitarizzato, passandolo a un prefetto. Il Pd non rimette piede a Palazzo Chigi, dove Fraccaro prende il posto di Giorgetti. Ma in Europa giocherà un tridente democrat di provata fede (Gualtieri viene da Bruxelles, Amendola la frequenta da anni, e Gentiloni ne potrebbe esserne la punta centrale se, come da accordi, andrà a fare il Commissario). La Lagarde, futura Bce, già parla di politiche più espansive. Roma scommette su lei e su Ursula per superare le forche caudine della legge di bilancio (a proposito, un grazie a Giovanni Tria, che ha tenuto la rotta in gran tempesta, risparmiandoci due volte, insieme a Conte, la procedura di infrazione). Se agisse nel vuoto pneumatico, insomma, l’esperimento avrebbe chance di riuscita. Nella testa di chi l’ha pensato c’è la scadenza del 2022, quando si eleggerà il successore di Mattarella: sperano di arrivarci, se non con questo governo, almeno con questo parlamento, in cui sono maggioranza. Ma sono tempi lunghissimi per la politica, quasi biblici. Perché poi c’è la realtà.
Né i Cinquestelle né il Pd sono monoliti, tutt’altro, piuttosto federazioni di correnti e di ambizioni personali: la loro tenuta è sempre a rischio. Un respiro strategico e programmatico capace di conquistare l’elettorato con un’idea forza non si vede ancora; aspettiamo di sentire Conte in aula, ma non si avverte lo spirito da nuovo inizio di quindici mesi fa. La distanza politica e culturale dal Nord è quasi dichiarata, con quattro ministri napoletani, due pugliesi e due lucani. E, soprattutto, tra meno di due mesi si vota già. Per l’Umbria, dove Cinquestelle e Pd perdono se non si mettono insieme, e se perdono pur mettendosi insieme sono guai (poi tocca all’Emilia, dove il Pd non reggerebbe una sconfitta). Ci sarà dunque da decidere in tempi brevi se quella che si è appena formata è solo una coalizione governativa o è un’alleanza politica: le due leadership avranno la forza e la lucidità per farlo? Per giunta, lì fuori c’è Salvini. Al momento il video è in pausa, ma resta lo show più popolare nel Paese, e la Bestia della sua comunicazione è viva e vegeta, pronta ad azzannare il governo al primo sbandamento. La destra sarà anche più debole dopo la sconfitta della Lega in Italia, ma a Londra sta provando a chiudere o sciogliere il Parlamento più antico del mondo, e a Washington può fare il bis. Anche il miglior governo del mondo avrebbe di fronte a sé una sfida terribile per il consenso. Il governo Conte 2 deve dunque perciò diventare migliore, e al più presto. Solo la prova dei fatti può dargli la forza di cui ha bisogno.
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