La ragazza che accusa il figlio di Beppe Grillo e i suoi amici: «Il Billionaire, la vodka, poi lo stupro»

MILANO — La vodka. L’ubriachezza (inizialmente da consenziente ma in una seconda fase con probabili costrizioni) e la voglia di tornare a casa insieme a un’amica. Il fermo invito dei quattro ragazzi ad andar via, sì, ma verso un’altra abitazione («Venite da noi, mangiamo poi vi portiamo dove volete»). L’abitazione dello stupro: un primo ragazzo che ha preteso un rapporto dopo esser stato rifiutato, e poi i tre amici (uno forse s’è tirato indietro ma senza interrompere l’aggressione di gruppo).

Lo scenario milanese dell’inchiesta per stupro su quattro ragazzi, tra i quali il figlio di Beppe Grillo, ha colori neutri alle pareti, arredo minimal dell’Ikea, non sedie divise da una scrivania ma poltrone ravvicinate; e ha marescialle con esperienza specifica sui reati di violenze e un sistema di videoregistrazione per lasciare che la vittima parli secondo i propri tempi e desideri, senza l’invasiva scansione della verbalizzazione a ogni risposta. In questa stanza della stazione dei carabinieri di Porta Garibaldi, dedicata all’ascolto di chi subisce abusi (qui arrivano anche i bimbi, accolti da soffici tappeti, giocattoli e disegni), venerdì 26 luglio la 19enne ha raccontato la sera e la notte di dieci giorni prima, a partire dal tavolo prenotato al «Billionaire» d’intesa (in parte) con i quattro. Quello che segue è il suo racconto, reso sì a distanza temporale dai presunti fatti, ma per una motivazione ribadita dalla ragazza, cittadina italiana con mamma di Milano e papà scandinavo (la famiglia risiede in centro); un racconto ricostruito dal Corriere attraverso il «viaggio» della denuncia, dagli stessi carabinieri alla Procura di Milano e da questa alla magistratura di Tempio Pausania con il coinvolgimento dell’Arma di Olbia.

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