Riesame delle regole europee

È Enrico Letta a leggere il messaggio del capo dello Stato nella sala Podestà di Villa d’Este, dove è in programma il panel “Più o meno Europa  nel nostro futuro?”. Seduti al tavolo dei relatori ci sono Romano Prodi, Mario Monti, il ministro francese Bruno Le Maire, Alexis Tsipras e Geert Wilders, volto dell’ultradestra olandese. C’è l’Europa in tutte le sue fasi ed espressioni, in tutte le sue forme di contraddizione e coabitazione chiamate a trovare un nuovo equilibrio.  

Quello del capo dello Stato non è un saluto tradizionale. I mercati tranquilli, lo spread sceso a 150 punti, la copertura della Bce, la benevolenza della Commissione europea nascente, il governo M5s-Pd molto europeista e che ha tolto a Salvini la barra di comando. Tutti questi elementi, messi in fila, creano le condizioni per un messaggio in cui si può osare. È un messaggio di peso, organico, puntuale, netto e coraggioso. È un manifesto di indirizzo programmatico che si innesta nel momento esatto in cui sta partendo il governo giallorosso, fresco di giuramento al Quirinale e pronto, tra due giorni, a incassare la fiducia in Parlamento. Dà sostanza al senso dell’avventura del neo esecutivo guidato da Giuseppe Conte. È il tassello che suggella e cementifica il marchio dell’esecutivo: la necessità di archiviare la stagione leghista dei pugni sul tavolo per fare del dialogo pacato la cifra dei rapporti con Bruxelles. È la conferma che è necessario far prevalere lo spirito Ursula (o Orsola se si preferisce la sua italianizzazione), espressione che trae le sue origini dal nome del sistema di alleanze larghe messo in piedi in Europa dalla neo presidente della Commissione Ursula Von der Leyen. La traslazione italiana di questo spirito è il governo formato dai dem e dai pentastellati.  

Quando arriva il passaggio cruciale del messaggio – “il necessario riesame delle regole del Patto di Stabilità” – si capisce perché per una mattina Cernobbio diventerà il laboratorio della nuova Europa. Con una precisa volontà di indirizzo o quantomeno il tentativo è questo. Il faro, la stella polare sono le parole di Mattarella. Il messaggio suscita lo stupore di molti in sala. Un imprenditore di primissimo livello si avvicina all’orecchio destro del vicino di sedia e sussurra: “Il presidente è andato dritto al punto”. Il perché è di facile intuizione. Quel messaggio ha una data, un destinatario, un titolo e uno svolgimento.

D’altronde se questo governo è nato, all’interno di un’operazione coltivata e benedetta in Europa, una delle sue ragioni principali è proprio qui, cioè provare a portare la stessa Europa verso una politica, innanzitutto economica e fiscale, più accomodante nei confronti dell’Italia. Dove accomodante significa più flessibilità, un allentamento dei vincoli rigidi che hanno accompagnato il disegno europeo da Maastricht in poi attraverso i passaggi del Patto di stabilità prima e del fiscal compact dopo. Solo così – è la conclusione di questo ragionamento – si possono liberare spazi e soldi per provare a fare ripartire la crescita. E per far quadrare i numeri dell’imminente manovra, incassando dall’Europa la flessibilità che serve. 

L’obiettivo è ambizioso e passa per una modalità che rifiuta la logica dello scontro. Se una nuova Europa deve essere, e soprattutto una nuova Europa per l’Italia, comune deve essere la ricerca del metodo del cambiamento. Per dirla in poche parole: a Bruxelles interessava sostanzialmente emarginare le spinte sovraniste e il tentativo – in alcuni casi riuscito, in altri in procinto di esserlo – di farsi governo nazionale per passare poi alla fase 2, cioè mangiare a pezzettini il sistema europeo così come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi. Questa è l’altra faccia della medaglia di questa operazione. Ma le due facce si guardano, si parlano, non sono contrapposte. Sono, al contrario, intersecate. E la saldatura è data dagli uomini italiani benedetti dall’Europa e che proprio con l’Europa dovranno dialogare. Gli uomini scelti per ricoprire gli incarichi che danno volto e voce alla volontà di parlare con lo stesso linguaggio e che sono funzionali ai rispettivi obiettivi a cui mirano Bruxelles e Roma: quello di commissario europeo, che spetterà a Paolo Gentiloni, e quello del ministro dell’Economia. A via XX settembre è arrivato il dem Roberto Gualtieri e si è portato dietro la valigia delle politiche europee vissute da vicino negli ultimi anni dato che è stato presidente della Commissione per i problemi economici e monetari al Parlamento europeo. 

Il neo governo italiano è parte attiva di questo tentativo che coinvolge anche altri Paesi europei dato che parte con l’elemento di un Matteo Salvini messo in stand-by. Conte lo ribadirà nel discorso che terrà lunedì e martedì davanti alle Camere: nei confronti dell’Europa bisognerà essere critici ma costruttivi e il punto di caduta concreto di questo rapporto dovrà essere la revisione del Patto di stabilità. Breve nota per ricordare di cosa si sta parlando: il Patto fissa i criteri che regolano le politiche di vigilanza sui conti pubblici. Dentro c’è l’obbligo del rispetto del tetto del 3%, cioè un deficit pubblico che non deve essere superiore al 3% del Pil, e una norma molto stringente sul debito pubblico, che deve stare al di sotto del 60% del Prodotto interno lordo. In questo quadro si sono mosse non solo le manovre economiche dei governi degli ultimi vent’anni – da Berlusconi a quello gialloverde – ma anche i più generali rapporti di forza tra Roma e Bruxelles. Nei confronti di questo Patto l’Italia è stata sempre in grande difficoltà perché il debito record e la crescita anemica hanno reso l’adeguamento alle regole una corsa in affanno e ansiolitica. 

Ora quel Patto – e lo dice Mattarella, il capo dello Stato, non un capo di partito che ha bisogno di dirlo per ottenere consenso – va cambiato. In maniera diretta, e con indicazioni precise, il presidente della Repubblica entra nella carne viva della questione delle questioni perché l’Europa è oggi, come all’origine, essenzialmente una questione economica. Articolata e al tempo stesso strategica perché si tira dietro le altre grandi questioni, a iniziare da quella dell’immigrazione. Si diceva, poco sopra, della completezza del messaggio del presidente della Repubblica e cioè la presenza di una data, ma anche di un destinatario così come di un titolo e di uno svolgimento. Per riassumere: la data è quella che coincide con i tempi di nascita del neo governo. Il destinatario è la platea di Cernobbio, popolata dalle forze produttive e di sistema del Paese. Parlare ai terminali del sistema – quelli che hanno in mano soldi, business, responsabilità e strategie – per parlare al governo e, in ultima istanza, agli italiani. Perché in molti – e qui lo rivela anche un sondaggio pubblicato oggi dal Corriere della Sera – sono rimasti spiazzati dal passaggio che ha portato dal governo Lega-5 stelle all’esecutivo M5s-Pd senza passare dalla casella del voto. Nel messaggio di Mattarella ci sono alcune delle risposte che i dubbi sulla composizione – di nomi e di contenuti – del nuovo governo ha fin qui sollevato. 

Il titolo riguarda la nuova Europa e qui si innesta un’altra coincidenza che attesta ancora di più la simultaneità dei tempi tra il messaggio del capo dello Stato e i lavori di Cernobbio. Il titolo scelto per il panel moderato da Enrico Letta è “More or less Europe in our future?” (Più o meno Europa nel nostro futuro?). Lo svolgimento del messaggio di Mattarella è da rintracciare nel contenuto del messaggio stesso. La revisione del Patto di stabilità è la traccia, ma le articolazioni e gli obiettivi sono altrettanto importanti. Si parla di coesione e crescita per dire che l’Europa deve spingere l’acceleratore su investimenti in infrastrutture, reti, innovazione, educazione e ricerca. Solo così può diventare un’Europa più solidale ed equa. Sono puntuali e intrise di impegni le parole di Mattarella. Lo sono perché forniscono il primo test di questo tentativo: lavorare per un sistema fiscale più equo. E questo, incalza il capo dello Stato, ingloba la necessità di affrontare il tema della tassazione delle grandi imprese multinazionali. Un test, tra l’altro, a cui dovrà sottoporsi prestissimo il nuovo governo che ha posto in cima al suo programma il taglio del costo del lavoro, il cosiddetto cuneo fiscale, per dare ossigeno alle fasce della popolazione medio-basse. Anche questa è una sfaccettatura dello svolgimento di cui si è detto fino ad ora. 

Coraggio è la parola che accomuna gli interventi di Prodi, Monti e Le Maire. Quando il dibattito termina, Tsipras esce fuori dalla sala. Passeggia sorridente sotto il tendone che protegge i tavoli del buffet e fa il suo endorsement al governo giallorosso definito “progressista ed europeista, essenziale per un’Europa progressista”. Prodi, scortato dalla moglie Flavia, si ritrova travolto da un capannello di telecamere e microfoni. Il Professore è sereno, riferisce di telefonate delle ultime ore con “amici europei” che hanno tirato “un sospiro di sollievo” per il Conte bis, operazione che l’ex premier ha incoraggiato. Le Maire si infila in un’altra sala per un punto stampa. Quando inizia a parlare si capisce subito che le parole di Mattarella sono state già intercettate da chi è chiamato a lavorare per costruire la nuova Europa. I nervosismi con l’Italia per i tanti incidenti diplomatici che si erano creati nell’ultimo anno con i 5 stelle sono archiviati. Ricordate la polemica sul primo amore di Luigi Di Maio per i gilet gialli? Sentite cosa risponde oggi Le Maire quando un giornalista gli chiede un giudizio sulla nomina dello stesso Di Maio a ministro degli Esteri: “Non possiamo cominciare a personalizzare le situazioni e aggiungere il nome di questo o quel ministro. In Francia riteniamo che il nuovo governo rappresenti un’opportunità e quando c’è un’opportunità bisogna coglierla”. Per Parigi, oggi, vale qualcos’altro rispetto ai singoli nomi del governo italiano. Vale la possibilità di partecipare, insieme all’Italia e ad altri Paesi, a un progetto più ambizioso e altrettanto difficile: un’Europa con i sovranisti all’angolo. Che è anche un’Europa meno rigida sul fronte dell’applicazione dei parametri economici. Conviene a tutti, anche alla Germania che si ritrova investita dalla crisi. Per cambiare volto e paradigma all’Europa serve qualcosa in più delle buone intenzioni. Ma questa è storia che sarà scritta nei prossimi mesi. 

Lontano dai sorrisi dei “vecchi” dell’Europa che ambiscono a costruire la “nuova” Europa spunta lo sguardo attendista e non spumeggiante di Wilders. Si dice convinto che Salvini ritornerà, ma le sue parole si perdono tra gli sguardi raggianti e le pacche sulle spalle che si scambia il vecchio establishment, quello che mancava da due anni a Cernobbio. Negli ultimi due anni il Forum Ambrosetti è stato appannaggio del leader della Lega e di chi si era fissato l’obiettivo di fare un gran falò in Europa. Ritorno al passato, ma a un passato che sa che non può sopravvivere con le vecchie regole, quelle dell’austerity, e con rapporti di forza tra i diversi Paesi che vanno necessariamente ricalibrati. Il vento sovranista ha lasciato strascichi importanti e allo stesso tempo non può dirsi esaurito. 

Anche il ruolo dell’Italia, che Mattarella assurge a necessità di un nuovo protagonismo, è uno dei grandi punti interrogativi che è planato sul tavolo dell’Europa in ri-costruzione. Il mondo di Cernobbio per ora guarda al neo governo italiano con scetticismo. Un televoto condotto tra circa 200 ospiti al Forum ha giudicato negativamente l’operato svolto fin qui (46,8%). Solo il 29,5% ha espresso un parere positivo, mentre il 23,7% si è collocato a metà strada. La fiducia è un sentimento che richiede tempo e prove tangibili. La prima prova se dà l’Europa stessa: i ministri delle Finanze discuteranno delle regole del Patto di stabilità al consiglio informale Ecofin della prossima settimana a Helsinki. 

A Cernobbio le parole di Mattarella finiscono sulla bocca di tutti. Sono tutti concordi nel seguire la strada tracciata dal capo dello Stato: imprenditori, banchieri, economisti, lobbisti. Mentre si tratteggia il volto dell’Italia e l’Europa c’è tempo anche per una tartina e un flute di prosecco. Perché l’establishment alla fine è anche così, capace di idee pindariche ma anche volenteroso di saziare i più umani bisogni. 

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