I dubbi e le fortune di una nuova alleanza
di Paolo Mieli
Il governo che tra oggi e domani presumibilmente riceverà la fiducia delle Camere è nato — lo abbiamo ribadito più volte — sulla base di procedure costituzionalmente impeccabili. L’integrazione programmatica tra M5S, Pd e Leu, ancorché su un’impostazione molto generica, è stata raggiunta in un battibaleno. Inoltre il nuovo esecutivo gode ora di un rispetto internazionale che mancava pressoché del tutto alla precedente compagine. All’attuale governo resta, tuttavia, come duplice non irrilevante pecca un’evidente immagine che richiama la tradizione del trasformismo italiano e un altrettanto evidente deficit di legittimazione popolare. Ci sarà così un’infima minoranza di italiani (destinata però, nel tempo, a crescere) che continuerà a nutrire un dubbio: siamo sicuri che non sarebbe stato meglio far battezzare dal popolo l’incontro tra centrosinistra e Movimento Cinque Stelle?
In altre parole: non sarebbe stato preferibile far ottenere a queste forze quel genere di consacrazione che si riceve solo dall’aver preso parte a una competizione elettorale? In fondo, vista la voluttà con cui M5S, Pd e Leu si sono gettati nel giro di pochi giorni l’uno nelle braccia dell’altro, sarebbe stato agevole dar vita a una coalizione capace di sfidare il centrodestra anche in elezioni ravvicinate. E, potendo disporre di tale nuova alleanza, il fronte Pd, M5S, Leu sarebbe stato in grado di dare del filo da torcere a Matteo Salvini in una competizione elettorale dall’esito quantomeno incerto.
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