Draghi vince contro l’asse franco-tedesco
Raccontare come sono andati i fatti, attraverso le ricostruzioni di Bloomberg e Reuters, è imprescindibile per capire la portata della vittoria di Draghi e le sue ricadute. A Francoforte è successo questo. Innanzitutto una cosa che non si era vista negli ultimi otto anni e cioè quella che alcuni dei partecipanti, seppur dietro l’anonimato, hanno definito “una rivolta” contro la volontà del numero uno della Bce di riattivare un nuovo Qe da 20 miliardi al mese e senza scadenza. Quando Draghi ha messo la proposta sul tavolo a opporsi sono stati il governatore della Bundesbank Jens Weidmann, l’omologo francese François Villeroy de Galhau. E poi ancora i rappresentanti di Berlino e Parigi nel board della Bce, Sabine Lautenschläger e Benoît Cœuré, oltre ai governatori di Olanda, Austria ed Estonia. Insieme fanno metà Pil dell’eurozona.
Draghi non è nuovo a queste dinamiche perché l’avversione della Germania e di Weidmann si è fatta sentire, e anche fuori dalle segrete stanze di Francoforte, in più passaggi del suo lungo mandato. D’altronde Weidmann ha sempre sognato la poltrona di Draghi, ma al di là delle ambizioni personali, l’avversione di una parte dei tedeschi alle politiche ultraespansive promosse dall’ex governatore di Bankitalia è stato un leit motiv che ha animato il dibattito europeo tra conservatori e progressisti, tra fautori dell’austerity e sostenitori di politiche in grado di dare ossigeno ai quei Paesi, Italia in testa, con debiti pubblici elevati.
Il dato inedito di oggi è che la Francia è scesa in campo e con la sua artiglieria pesante per provare a sbarrare la strada a Draghi, rendendo l’asse con i tedeschi ancora più robusto. E l’ha fatto in un momento delicato, quello appunto del passaggio del testimone di Draghi, alla fine di un mandato che sarà ricordato per la sua ricetta, quella del Qe. Proprio nel momento in cui il numero uno dell’Eurotower ha deciso di imprimere l’ultimo sigillo alla sua creatura, ecco che i francesi hanno fatto capolino, sbattendo i pugni sul tavolo per dire “caro Mario, così non va bene”.
Alla fine, come si diceva, l’ha spuntata Draghi. Che durante la tradizionale conferenza stampa al termine del Consiglio direttivo ha smorzato i toni, come sa ben fare da condottiero che ha visto la nave dell’Europa navigare nelle acque tempestose della crisi. Eppure lui è rimasto lì, sicuro nell’indicare il porto di approdo. L’ha messa giù così: “Ci sono state molte diversità di vedute, ma il consenso è stato così largo che non c’è stato bisogno di votare. C’era una chiara maggioranza”.
Draghi ha vinto con la modalità non certo più esaltante perché tutto c’è stato tranne che l’unanimità, ma ha vinto perché la riedizione del quantitative easing si farà. Questo, tuttavia, non sgombera il campo dai dubbi sulla sua possibile riuscita. Ma soprattutto apre la prima vera questione che caratterizzerà il mandato di Christine Lagarde, pronta a prendere il testimone da Draghi il primo novembre. Lagarde, francese. Lagarde che una settimana fa, davanti al Parlamento europeo, si è detta d’accordo sulla necessità di mantenere “una politica monetaria molto accomodante per un lungo periodo di tempo”. Lagarde che ha ammesso la presenza di “rischi economici a breve termine” e che ha sottolineato come il livello dell’inflazione – uno degli obiettivi del Qe – è ancora “troppo basso”. Lagarde, insomma, sulla scia di Draghi. Ma ora che la Francia ha votato contro al Qe, cosa farà il nuovo capo della Bce?
Ci sarà tempo per vedere e capire. Oggi è il giorno della vittoria di Draghi. In Italia festeggiano tutti: dal ministro per gli Affari europei Enzo Amendola al commissario Ue Gentiloni alle Borse. Draghi fa volare i Btp, i cui rendimenti hanno segnato un nuovo minimo storico. Lo spread a 138 punti base, ai minimi da maggio di un anno fa. Anche questo è l’effetto dell’ultima vittoria di Draghi a Francoforte. Mario l’italiano come direbbe qualche tedesco.
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