Il «centro» grato a Salvini
Il motto di Conte è «piano piano». L’otto agosto, quando Salvini gli toglieva la fiducia, stava serafico al telefono e da presidente del Consiglio prendeva appuntamento per il 14 ottobre ad Avellino, ad una manifestazione organizzata dalla Fondazione Sullo, che alla scuola diccì fu maestro dei De Mita, dei Bianco e dei Mancino. Infatti il mondo democristiano di Conte parla bene, come Berlusconi. L’incontro con il Cavaliere per le consultazioni del governo è durato un’infinità, e chi poi ha conosciuto i dettagli del colloquio riferisce che «senza l’intervento delle capigruppo di Forza Italia, se il colloquio fosse durato altri cinque minuti, “il dottore” avrebbe dato la fiducia a Conte».
In questa corsa al centro il leader azzurro è decisivo, per quanto non più protagonista. La posizione del suo partito è strategica e chiunque voglia conquistare quell’area deve farci i conti, perché i precedenti insegnano che ogni nuovo progetto deve servirsi delle strutture pre-esistenti: lo fu per Berlusconi che scese in campo riciclando pezzi della Prima Repubblica, e lo è stato per Macron che ha costruito En Marche sulle macerie dei socialisti e dei centristi francesi. Perciò Salvini — vedendo il rischio — è corso ieri dal Cavaliere, nonostante per 14 mesi avesse ripetuto di non nutrire «nostalgia del passato». Cioè di Berlusconi.
Allo stesso modo, e per l’obiettivo opposto, Renzi guarda (anche) a Forza Italia per il suo progetto, convinto che «l’evoluzione del sistema in senso proporzionale apra spazi politici che il Pd non sarà capace d’intercettare». Di qui l’operazione in corso, piena di rischi e di contraddizioni, con una serie di bozzetti per il simbolo, una quarantina di parlamentari al seguito e la ricerca di appoggi «nel mondo dell’industria e dell’impresa», noti persino ai piani alti di alcune Authority e importanti aziende di Stato.
Semmai l’ex leader dem rompesse gli indugi, si troverebbe in competizione (anche) con un suo ex ministro: Calenda ha già fissato per il 9 dicembre la convention del suo nuovo Movimento, che si propone di essere «baricentrico nella politica italiana». Queste manovre sono osservate con interesse dal pulviscolo delle forze post-democristiane, e per converso vissute come una minaccia da chi conosce la Dc per averla frequentata. Franceschini per esempio: l’idea di allearsi coi grillini serve anche a contrastare le manovre al centro. E la sua preveggenza è unanimemente riconosciuta nel Palazzo. Il capodelegazione del Pd nel gabinetto Conte, sedeva da ministro anche nel gabinetto di Letta, e quando il premier alla prima riunione propose il taglio delle diarie per chi sedeva al governo, disse: «Enrico, va bene. Ma facciamolo solo per questo governo».
CORRIERE.IT
Pages: 1 2