I ministri europei ora scuotono la Germania
Di solito Dombrovskis chiude sempre, senza se e senza ma. Oggi non lo fa e comunque c’è tempo fino alla presentazione della manovra il 15 ottobre prossimo.
La vera novità è la Germania. Il caso tedesco tiene banco. Nessuno si sogna di attaccare Scholz frontalmente nelle dichiarazioni pubbliche. Ci mancherebbe, si tratta sempre della Germania, paese guida dell’Unione nei confronti della quale non è mai stata aperta una procedura per surplus alto. Oggi non ci sono avvisaglie di procedura, ma il punto lo sottolineano tutti, proprio nel giorno in cui – tra l’altro – in Germania (come in Olanda e Austria) è massima la rabbia contro Draghi, ‘Draghula’ come lo soprannomina il tabloid Bild.
“Il ciclo economico non è molto buono. Significa che chi ha il debito alto, deve ridurlo. Chi però ha spazi fiscali di manovra, deve spendere”, dice Dombrovskis. Questo è il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno: “Gli Stati con spazio di bilancio lo devono usare per contrastare il rallentamento dell’economia″. E questo è il ministro francese Bruno Le Maire: “La mancanza di crescita è diventata un problema in Europa. Non sto chiedendo alla Germania di spendere di più ma a tutti di fare quello che possono. Molti devono ridurre le loro spese, stare alle regole e fare le riforme. Ma chi ha lo spazio fiscale deve spendere di più. C’è bisogno di parlare di più con la Germania ma le cose si stanno muovendo”.
Con l’economia che ancora non gira, si punta a riequilibrare il peso delle responsabilità. Ecco perché il dito finisce puntato anche su Berlino, per la prima volta. E, certo, al contempo si aspettano al varco i paesi che devono ridurre il debito. Anche perché – e questa è la doccia fredda per l’Italia – si allontana la riforma del patto di stabilità e crescita, chiesta anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Roma non potrà contare su una riforma della regola del 3 per cento nel rapporto tra deficit e pil, per dire. Almeno non per ora. La chiusura arriva proprio dai francesi, che si pensava sostenessero la richiesta italiana. “Sono molto prudente sulla revisione del patto di stabilità e crescita – dice secco Le Maire – meglio parlare di investimenti”.
Per l’Italia resta lo spazio di flessibilità previsto dalle regole. Di questo parlano Dombrovskis e Gualtieri nel loro incontro, il primo di una serie di colloqui che seguiranno passo passo l’elaborazione della manovra economica a Roma.
“La manovra è un ‘work in progress’ – dice il commissario europeo – c’è ancora un mese prima della scadenza, ma Gualtieri mi ha assicurato che lui ha intenzione di muoversi dentro le regole del patto di stabilità e crescita, che prevede una certa flessibilità”. Dunque con un deficit al di sotto del 3 per cento del pil e che, secondo indiscrezioni, potrebbe però arrivare al 2,4 per cento, la soglia che l’anno scorso fu contestata al governo Conte I, quello di Salvini e Di Maio, e che quest’anno invece potrebbe essere concessa al Conte II, l’esecutivo del M5s col Pd. Perchè Dombrovskis non si mostra più tanto falco: “Sulla specifica flessibilità, occorrerà una valutazione approfondita, non si può dire adesso: dipende dalla valutazione sulla fase del ciclo economico in cui si trova l’Italia e questo sarà chiarito quando pubblicheremo le stime macroeconomiche a novembre”.
Il governo ha intenzione di muoversi su investimenti ‘verdi’ per aiutare la crescita, nel solco di quanto prospettato dalla nuova presidente della Commissione Ursula von der Leyen, sottolineano dal Tesoro. A Helsinki intanto Gualtieri aderisce alla cosiddetta ‘coalizione per il clima’, 40 paesi impegnati nella gestione dei cambiamenti climatici con politiche ambientaliste. Ma il quadro della legge di stabilità – che dovrà necessariamente occuparsi di disinnescare le clausole di salvaguardia sull’aumento dell’iva – è ancora tutto da definire.
Il clima però è completamente diverso. L’Italia non è più la ‘brutta bestia’ capace di far saltare il banco. Nel cono d’ombra delle preoccupazioni europee restano l’Irlanda e la Grecia. Ma soprattutto inizia sulla Germania un pressing che potrebbe cambiare radicalmente il corso della storia economica dell’Ue.
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