Arabia Saudita, attacco con i droni ai pozzi di petrolio: dimezzata la produzione. E l’America accusa l’Iran

Due gli aspetti da considerare. Il primo riguarda la dimensione militare. I miliziani hanno confermato le capacità di violare le difese avversarie a lunga distanza, circa 800 km. Questo grazie alla collaborazione dell’Iran e ad una continua preparazione. Non è certo questo il primo strike, è stato solo il più devastante. Per ora. Ci si è anche chiesti se siano partiti dallo Yemen o se invece abbiano usato una sponda irachena dove sono presenti fazioni amiche. Tutto è parte del confronto che oppone le monarchie sunnite, i mullah di Teheran, le pedine amiche. E si innesta indirettamente nella partita Iran-Usa-Israele, anche qui segnata dal duello di droni. Ieri c’è stato un contatto telefonico tra Mohammed e Trump, il principe ha affermato che il suo paese è in grado di rispondere all’aggressione. Poi Pompeo ha accusato direttamente Teheran. Intanto il dipartimento Usa dell’energia ha reso noto che gli Stati Uniti sono «pronti a impiegare risorse delle riserve petrolifere strategiche (630 mln di barili, ndr), se necessario, per compensare qualsiasi interruzione dei mercati petroliferi».

Il secondo fronte è quello economico. Riad sta per quotare in Borsa la Aramco, ha appena condotto un cambio al vertice, fa i conti con il prezzo basso del greggio (60 dollari). Sviluppi intrecciati ai piani di riforma del principe MBS, manovra rallentata da errori e resistenze interne. Servirebbe stabilità, ma il regno ha troppi fronti aperti. Non tutti sono d’accordo con la svolta e i metodi. Inoltre pesa il conflitto nello Yemen, un pantano sanguinoso dove sono emersi contrasti anche con gli Emirati, oggi più attenti ai loro interessi. Gli Houti si sono rivelati un ostacolo duro e con il loro attacco notturno hanno dato una nuova scossa.

CORRIERE.IT

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