Se l’Europa chiude gli occhi
di Federico Fubini
Il mare si è riempito di spume fino alla linea azzurra della costa turca, ora che si sente l’autunno, eppure all’alba ne sono spuntati altri due. Come altre decine di gommoni, questi restano sul litorale di Lesbo e quarantuno migranti tra poco verranno portati in bus al cancello. La porta d’Europa, per loro. Sembra l’ingresso in un labirinto nel quale anche gli ultimi sbarcati potranno cercarsi un angolo da qualche parte, se riescono. Si troveranno esattamente fra 10.660 persone in un luogo pensato per contenerne tre volte di meno. In gran parte sono afgani, oltre un decimo siriani ma sempre più anche congolesi, somali, camerunesi, angolani. Volano da Kinshasa su Istanbul, bus fino a Smirne e traversata di notte, con sbarco a Lesbo alle tre. Preferiscono questa rotta a Lampedusa non perché l’Italia avesse chiuso i porti — dicono — ma per il terrore che incute l’idea della Libia.
La situazione di Recep Tayyip Erdogan ha fatto il resto. L’autocrate che ha svuotato dall’interno la democrazia turca non è mai stato così impopolare e l’economia non è mai andata così male. Erdogan deve pensare che è ora di tornare a ricattare l’Europa, lavorando sulle sue paure. Tre anni fa aveva ricevuto sei miliardi di euro per fare della Turchia un filtro che bloccasse i flussi. Ora però le polizie di Erdogan tornano a voltarsi dall’altra parte, quando si affacciano sull’Egeo i più spaventati e i sofferenti di un arco di instabilità di un miliardo e mezzo di persone dall’Africa al Medio Oriente.
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