La solita memoria corta
di Angelo Panebianco
Uno sconsolante dejà vu. È vero che gli elettori, quando si tratta di certe faccende, hanno la memoria corta. Ma la classe dirigente non dovrebbe soffrire della stessa malattia. In vista di una ennesima, possibile riforma elettorale, si torna a parlare di virtù e difetti dei vari sistemi (maggioritario a un turno o due turni, proporzionale puro, eccetera) con spensierata ignoranza, come se non avessimo alle spalle trenta e passa anni di discussioni e di esperimenti. Facciamo il punto su quanto la storia dovrebbe averci insegnato.
Primo: chiunque dica che il tale o tal altro sistema elettorale è in grado di dare stabilità alla democrazia non sa di cosa sta parlando. La stabilità di una democrazia dipende da tre cose. Il radicamento sociale dei partiti è una di esse. Così come lo sono le tendenze in atto, in una certa fase storica, alla radicalizzazione degli elettorati o alla de-radicalizzazione. Così come lo è, infine, l’assetto istituzionale complessivo (di cui la legge elettorale è solo un frammento, ancorché importante). In questa fase storica, non solo in Italia, si assiste a un indebolimento — ma più accentuato in alcune democrazie — del radicamento sociale dei partiti. Inoltre, a causa (forse) della lunga crisi economica, viviamo in un periodo di forte radicalizzazione.
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