Pd e Movimento 5 Stelle: il fronte in cerca d’identità

di Paolo Mieli

Nonostante le tensioni sulla manovra nel vertice notturno, il primo mese di governo è parso tranquillo. Certo, c’è qualche scaramuccia a rendere il clima più frizzante. Ma – che si parli di giustizia, riforme costituzionali, elezioni regionali, economia (soprattutto quella verde), migranti – i summit tra Partito democratico e Movimento cinque stelle sono stati sereni: i plenipotenziari delle due formazioni uscendo da quei vertici lasciano intendere che, a parte qualche dettaglio, si sono trovati in sostanziale armonia. Se poi i grillini hanno problemi di compattezza e di tenuta, immediatamente mettono in chiaro che non è certo per colpa del partito di Nicola Zingaretti. Insomma: una luna di miele abbastanza soddisfacente. Vien da chiedersi se non abbia peccato di pessimismo Mario Tronti quando ha definito l’accordo estivo tra Pd e M5S un «suicidio assistito».

In un’intervista a Carmine Fotia («L’Espresso») l’ottantottenne teorico dell’operaismo italiano, già senatore del Pd, non ha concesso attenuanti al patto che ha portato alla nascita dell’attuale governo. Alla sinistra italiana ha rimproverato di esser corsa a salvare i seguaci di Grillo proprio «mentre affondavano». Di essersi poi sottratta all’opportunità di «sfidare sul campo e sconfiggere in battaglia» la destra. Tronti ha inoltre sostenuto che Zingaretti avrebbe dovuto puntare i piedi contro i «governisti ad ogni costo» che hanno in mano le correnti del suo partito. Anche al prezzo di «mettere in gioco la segreteria». Perché? Per il fatto che «un conto è se al governo ci arrivi meritandoti un mandato di fiducia dal basso… un altro se ti affidi sempre ai trucchi di una legge elettorale o, peggio, alla solita congiura di palazzo».

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