Caro Nicola Zingaretti, è scaduto anche il tuo yogurt
Contro Matteo Salvini due leader, nessuna idea
Chi tifa per la svolta del nuovo governo e chi la nega si confondono nella perdita di contatto con la realtà. Mentre oggi, più di ieri, serve uno spirito critico affilato
Ma una logica connette le sue diverse manifestazioni nel corso degli ultimi trent’anni, seguita a volte coscientemente e altre per inerzia: il sistematico attacco a ogni forma di intermediazione tra “esecutivo” e “popolo”. Ogni forma di “sindacato”, e cioè di rappresentanza autonoma di interessi legittimi particolari, ridotta e delegittimata a “corporativismo”; le Autonomie Locali, perno, insieme alla riforma dell’Ente Regione, di ogni seria riorganizzazione delle nostre istituzioni, bersaglio continuo di tutti i governi succedutisi, attraverso il sistematico taglio di poteri e trasferimenti. Si tratta di una logica anti-federalistica pervasiva, che non risparmia nessun momento della vita pubblica: dalla distribuzione centralizzata delle risorse, alla organizzazione della scuola, dell’università, della ricerca. Ma attenzione, una tale logica ha una propria forza che non potrà arrestarsi a questo punto – e infatti lo dimostra. Il Parlamento stesso è destinato, per essa, ad apparire l’espressione di un potere di intermediazione, sopportabile per ossequio al passato, ma “rappresentante” assai più una spesa superflua che un necessario investimento. È incredibile come la giustificazione principe per la riduzione del numero dei deputati non sia quella di rendere i lavori del Parlamento più efficaci e i suoi membri sperabilmente più competenti e forniti di migliori strumenti per controllare, legiferare, ecc., ma qualche stipendio in meno.
E allora perché non risparmiarli tutti? Si elegga un presidente e i
partiti-movimenti in base ai voti raccolti dai loro leader e dai loro
comitati elettorali diano vita a un Consiglio di Amministrazione. Quando
si inizia una strada occorre il coraggio di volerla percorrere fino in
fondo. E il voto? Perché non adottare una piattaforma Rousseau
universale? Che cosa lo impedisce? Perché non lo si propone apertamente?
Invece di esprimere il proprio parere su questa o quella decisione (già
presa) di un singolo gruppo dirigente, nel giorno tal dei tali chi lo
desidera esprime i propri rappresentanti, i soli indispensabili, e cioè
Presidente e membri del suo CdA. Che questo non c’entri radicalmente
nulla né con la democrazia diretta né con Rousseau sarebbe troppo arduo
forse da far capire a coloro che hanno se non altro il merito di mirare
più conseguentemente alla totale destrutturazione dello spazio politico
italiano. Costoro esprimono almeno una sub-cultura politica coerente;
colpevole è chi asseconda la deriva fingendo, magari per spicciola
convenienza, di non rendersene conto. Esemplare è la voglia di ritorno
al proporzionale e con questo al peggio della prima Repubblica. Senza
vero maggioritario, e cioè collegi uninominali a doppio turno, tutto
verrà definitivamente consegnato nelle mani di leader e gruppi dirigenti
romano-centrici auto-referenziali, che patteggeranno intese-contratti
tra loro del tutto a prescindere dalla volontà realmente espressa dal
“popolo sovrano”. Intese-contratti a cui, a questo punto, potrà
partecipare anche chi difende coi denti la propria nicchia e la propria
rendita di posizione. Ben scavato vecchia talpa!
La domanda oggi è: sa Zingaretti che tutti gli yogurt che lo compongono sono più o meno scaduti?
Saprà il Pd (o come diavolo vorrà chiamarsi) di Zingaretti, non più
sperabilmente ossessionato da tempeste interne al proprio bicchiere,
reagire a tale deriva culturale prima ancora che politica? Sarà
convocato rapidamente un vero congresso, aperto a chi vuole davvero
partecipare e non cliccare, sulla base di documenti e tesi da discutere e
votare, che dicano, magari anche con l’esattezza di qualche numero,
come si intenda metter mano a fisco, debito, pensioni, ma soprattutto
chiariscano quale è la visione della politica di questo partito, quale
dovrà essere la sua organizzazione interna, quale la riforma del sistema
elettorale e delle istituzioni per cui intende battersi, per quale idea
dell’Europa e del suo ruolo internazionale? Solo decidendosi intorno a
tali nodi sarà possibile domani ridistinguere le forze politiche in
campo, articolare differenze, contrapposizioni e convergenze, ridefinire
lo spazio politico.
Giuseppe Conte ora è un modello: di destra, di sinistra. E di niente
Lo stile trasformista del premier dilaga, come una maschera. Cloni del fu avvocato del popolo stanno invadendo la politica, ad ogni livello, nelle città, nelle regioni, nei ministeri. Tra abbracci, selfie e approssimazioni. L’originale, intanto, trotta per palcoscenicii rasentando l’ubiquità
Senza di ciò il destino è segnato: lo spazio “liquidato” della nostra politica sarà stabilmente occupato dalle potenze della finanza, dell’economia, dello stesso progresso tecnico-scientifico, che da sempre fanno tutt’uno col dominio dei grandi spazi imperiali, dei loro interessi, della loro strategia – e dipenderà esclusivamente dagli equilibri che essi tra loro saranno in grado di conseguire. Non temete: questa volta potrà essere un dominio molto soft, contento di lasciarci chiacchierare di patria, identità e sovranità, se questo serve a tenerci addomesticati.
L’ESPRESSO
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