Gualtieri: «Servono 14 miliardi, lotta agli evasori. Salvini ha aperto la crisi per non affrontare la manovra»



Lei è un ministro politico, il primo all’Economia dal 2011. Ha capito che differenza c’è rispetto a un tecnico?
«La differenza è semplice: sull’onda della demagogia di Salvini e di politiche che hanno diviso il Paese, l’Italia aveva preso una direzione pericolosa. Oggi dobbiamo rimetterla su un sentiero di crescita, stabilità, ricomposizione delle fratture sociali e territoriali. Questo è un compito eminentemente politico».

Le critiche alle Nota d’aggiornamento le ha viste: poco ambiziosa, si è detto.
«Tenuto conto dell’eredità difficile che abbiamo trovato, disattivare 23 miliardi di clausole Iva, avviare la riduzione delle tasse sul lavoro e rilanciare gli investimenti salvaguardando scuola, sanità e welfare non mi sembra un compito poco ambizioso. D’altronde la sfida di questa manovra era così ardua che Salvini ha aperto la crisi perché sapeva di non essere in grado di affrontarla».

Un anno fa l’obiettivo del deficit era al 2,4% del Pil, Bruxelles parlò di violazione «particolarmente grave», i mercati crollarono. Ora annunciate un deficit al 2,2% che in realtà è 2,25%. Numeri simili, reazioni opposte sui mercati e a Bruxelles. Due pesi e due misure?
«Il 2,2% ci assicura l’utilizzo pieno della flessibilità e consente di dare un’intonazione espansiva alla manovra, garantendo al tempo stesso una riduzione del debito. Anche il precedente governo ha usufruito della flessibilità ma, come si è visto, ci è arrivato dopo un lungo tira e molla. Questo aumenta i costi e riduce i benefici».

Ma il crollo dello spread con deficit molto simile a prima come si spiega?
«È evidente che una posizione chiaramente europeista del governo e della maggioranza ha in sé un effetto positivo. Al contrario, avere nella maggioranza forze e personalità anche con funzioni significative che costantemente alludevano a scenari diversi da quello della permanenza nell’euro ha avuto un costo rilevante per il Paese e per i cittadini. Quando parlo del conto del Papeete, mi riferisco anche al danno che ci ha procurato parlare dei mini-Bot. Colgo anzi l’occasione per ringraziare le forze di maggioranza per la forte condivisione della Nota, che ci ha consentito di approvarla in Consiglio dei ministri in modo straordinariamente rapido e unitario».

Ma se ci avete passato notti fino alle ore piccole…
«Idee diverse su alcuni punti della manovra sono normali. Il dato di fatto è che abbiamo approvato la Nota con la piena condivisione dei numeri». Poi a quel 2,2% di deficit bisogna arrivarci, con risorse per 14 miliardi».

C’è un’idea nella maggioranza di come reperirli e del mix fra aumento delle entrate e riduzioni di spesa?
«Le risorse per finanziare la completa sterilizzazione delle clausole e le misure previste dalla manovra, al netto della flessibilità e altri fattori, sono in effetti circa 14 miliardi. Nella Nota sono indicati gli ambiti di intervento che stiamo ora definendo più nel dettaglio. Sono fiducioso che con il contributo di tutti si arriverà a una soluzione equilibrata e condivisa».

Già, ma come?
«Ora è prematuro per me indicare le singole misure. Ci sarà tra l’altro un impegno straordinario sul versante del recupero di gettito dell’evasione fiscale».

I 7 miliardi di cui si parla?
«Stiamo definendo un piano organico di incentivi all’uso degli strumenti digitali di pagamento, che consideriamo fondamentale per la modernizzazione del Paese oltre che per il contrasto all’evasione. A questo si accompagneranno diversi interventi specifici su vari fronti – frodi, evasione, elusione, antiriciclaggio – per ciascuno dei quali ci sarannno stime precise di gettito. Abbiamo definito i pilastri principali, vedremo gli equilibri esatti che ci saranno fra i vari elementi della manovra».

Sette miliardi di recupero dall’evasione in un anno sarebbero senza precedenti. Bruxelles si convincerà?
«Non è che stiamo lavorando a una generica lista di auspici. È un piano organico, ogni misura è prezzata e valutata. Anche studiando le pratiche migliori viste in altri Paesi, adattate al nostro».

Sa che alcuni gruppi di produttori si preoccupano già che vengano meno molte detrazioni…
«Invito tutti alla pazienza, aspettiamo le misure. Piuttosto, vorrei sottolineare che la parte discrezionale della manovra che sostiene la crescita, gli investimenti, riduce il costo del lavoro e finanzia la retta dell’asilo nido per i ceti medio-bassi vale la differenza fra i 29 miliardi della manovra e i 23 dell’Iva. È un inizio, ma investire nei nidi dà un grande moltiplicatore perché permette a molte madri di lavorare».

Come dice lei, è un inizio. Poi però fino al 2022 sono rimaste altre clausole di salvaguardia molto alte.
«Questo governo ha un orizzonte triennale. Dopo la manovra, intendo avviare un lavoro approfondito su vari temi: riforma fiscale e spending review, sulla quale intendo istituire una commissione. L’obiettivo è che ad aprile il Def e il Programma nazionale di riforme impostino gli interventi per il prossimo triennio. Come si fa in molti Paesi, dovremmo superare l’abitudine di fare sempre tutto all’ultimo».

E le clausole Iva?
«La prassi diffusa in Italia è di toglierle all’ultimo per l’anno che sta per iniziare e spostarle a quello dopo. Noi le eliminiamo per quest’anno, le dimezziamo per il prossimo e l’obiettivo è di eliminarle completamente».

Già, ma come?
«Il risparmio in interessi grazie alla caduta dello spread con il nostro governo è già di sei miliardi. Se noi torniamo con i rendimenti dei titoli di Stato sotto la Spagna, com’era fino al 2016, quella cifra potrà crescere considerevolmente. La nostra scommessa è quella di aggredire le due grandi sacche di inefficienza – la spesa per interessi sul debito e l’evasione fiscale – per poter non solo cancellare le clausole, ma aumentare le risorse per investimenti e welfare e ridurre ancora la pressione fiscale. È il dividendo della stabilità, che ci può dare margini significativi per fare cose molto ambiziose. Ora dobbiamo superare la sfida straordinaria di questa legge di bilancio, e farlo in modo ordinario. Se ci riusciamo, siamo nelle condizioni per impostare un triennio di svolta che affronti alcuni grandi nodi irrisolti di questo Paese e ne liberi le potenzialità straordinarie».

In Italia si pensa che a un governo filo-europeo Bruxelles permette di più. È tutto qui l’europeismo?
«Io penso che l’Italia debba tornare a essere protagonista politico del dibattito europeo. La sfida non è avere più o meno flessibilità per l’Italia, ma rilanciare l’Europa. All’Ecofin informale di Helsinki sono andato a parlare di questo. Ho detto, fra gli altri aspetti, che serve una politica di bilancio dell’area euro più espansiva perché la politica monetaria da sola non basta. Ho detto che occorrono più investimenti comuni orientati alla sostenibilità che abbiano un trattamento più favorevole nel patto di stabilità. Che serve un’indennità europea di disoccupazione e una garanzia comune per i depositi bancari. D’altronde in Europa conduco da tempo battaglie politiche su questi temi. Il mio europeismo è quello di un’Europa che non può che rafforzare la sua dimensione politica e democratica se vuole essere un attore globale reale e dare ancora più peso all’euro come moneta di riserva internazionale».

L’Italia è in grado di formare una coalizione attorno a questi temi, e con chi?
«L’Italia deve tornare nel gruppo di testa dei paesi che svolgono una funzione di indirizzo. Al tempo stesso c’è una dimensione politica transnazionale altrettanto importante. Io sono un ministro politico anche perché faccio parte dei Socialisti e Democratici europei, che hanno un gruppo parlamentare a Strasburgo e ad esempio hanno svolto un ruolo rilevante nel rendere più avanzato il programma di Ursula von der Leyen.. ».

Lei si muove nelle istituzioni europee da tanti anni, in posizioni di notevole influenza. E una delle accuse mosse più spesso in Italia verso chi ha operato a Bruxelles è di una certa inclinazione dottrinaria per politiche di austerità…
«Io sono keynesiano e sostengo l’utilità di finanziare gli investimenti in deficit, tanto più in una fase di rallentamento dell’economia e con tassi così bassi. Ma ciò è molto diverso da mettere in pericolo la sostenibilità della finanza pubblica. Ad esempio il welfare, proprio nei Paesi dove è serio, è sempre in equilibrio. Non si finanzia il welfare in deficit, in deficit si fanno gli investimenti. Se in Scandinavia dove lo Stato paga anche la matite a scuola, dici a un ministro socialdemocratico di finanziare il welfare in deficit, quello rti prende per pazzo. Questa sarebbe la linea di Reagan, “affamare la bestia” per sfiancarla. Chi pensa che si può fare welfare in deficit, vuole smantellarlo. Quindi noi sosteniamo una fiscal stance espansiva dell’area euro, sosteniamo la Golden Rule che permetta di scorporare certi investimenti dal calcolo del deficit, sosteniamo più investimenti europei e nazionali finanziati da titoli emessi a livello europeo o italiano. Noi non siamo per lo Schwarze Null, no (la politica di lievi surplus di bilancio perseguita dalla Germania, ndr). Però pensiamo che occorra la sostenibilità della finanza pubblica».

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